Resta scolpita nella memoria quella drammatica sera del 26 agosto 2004 quando Al Jazeera annunciò che il giornalista Enzo Baldoni era stato ucciso dall’Esercito Islamico, un gruppo islamista sunnita, legato ad Al Qaida, che lo aveva sequestrato pochi giorni prima sulla strada tra Najaf e Baghdad.
Era in Iraq per raccontare sul settimanale “Diario” la sanguinosa guerra con gli Stati Uniti dopo l’abbattimento del regime di Saddam.
Enzo Baldoni era un pubblicitario arguto e un giornalista free lance bravissimo: era riuscito a intervistare famosi capi militari, come il subcomandante Marcos nel Chiapas messicano.
Giornalista di guerra e operatore di pace. In Iraq si prese in carico il destino di un ragazzo amputato, Mohamed, che poi fu curato da Emergency.
Quando fu rapito stava tornando a Baghdad con un convoglio della Croce rossa che aveva contribuito a organizzare per portare aiuti alla città assediata di Najaf.
Nei giorni del rapimento su di lui vennero scritti molti articoli denigratori, che lo accusavano di imprudenza, lui invece conosceva bene i pericoli che correva un occidentale in Iraq, infatti aveva evitato Falluja dove le bande di terroristi tagliagole di Al Zarkawi spadroneggiavano. Anche due reporter francesi erano stati rapiti, poi liberati.
Ma il suo corpo rimase disperso e ancora oggi la dinamica del rapimento rimane incerta. Nel luglio 2005 la Croce Rossa entrò in possesso del frammento di un suo osso. Nell’aprile 2010, dopo sei anni di attesa, i suoi resti tornarono in Italia. I funerali si celebrarono a Preci, in Umbria dove Enzo Baldoni era stato bambino.
È sepolto al cimitero Monumentale di Milano. Sulla sua tomba a forma di balena è stato inciso un epitaffio di Marguerite Yourcenar: «Ho avuto la buona vita di un cane al sole».