Con la scomparsa di Emilio Fede, avvenuta oggi all’età di 94 anni, il giornalismo italiano perde uno dei suoi protagonisti più rappresentativi. Un giornalismo, il suo, (va subito precisato) accusato di partigianeria e faziosità, soprattutto nell’ultima fase della carriera del cronista di origine siciliana (era nato a Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, il 24 giugno 1931). Cioè quella degli anni a Mediaset, nella “casa” di Silvio Berlusconi, l’uomo politico che lo aveva “folgorato sulla via di Arcore”. Direttore del Tg4 per vent’anni, dal 1992 al 2012, Emilio Fede – nella prima fase della sua carriera, in Rai – aveva diretto anche il Tg1 (dal 29 maggio 1981 all’8 agosto 1982), dopo averlo condotto per cinque anni (dal 1976 al 1981).

Di Fede, infatti, gli anni nella televisione di Stato sono quelli meno ricordati, ma forse il periodo professionale per lui più importante e formativo, quello che ha lanciato la sua carriera. Collaboratore di Sergio Zavoli, aveva trascorso ben otto anni in Africa, da cui aveva inviato reportage e servizi realizzati in diversi Paesi del continente. Sotto la sua direzione, inoltre, il Tg1 realizzò la storica diretta no stop di 18 ore sull’incidente di Vermicino (in cui il piccolo Alfredo Rampi cadde in un pozzo artesiano e vi rimase bloccato prima di morire; i tentativi di salvarlo non andarono a buon fine).

Dalla Rai, da cui uscì nel 1987, passò due anni dopo a Mediaset: fu assunto come direttore di Videonews, dove rimase per circa due anni. Nel 1991, infatti, tenne a battesimo Studio aperto, il telegiornale di Italia 1, una delle tre reti di cui si componeva la corazzata commerciale del Cavaliere. Il suo telegiornale, tra l’altro, aprì i battenti con una notizia storica, annunciando l’inizio della Guerra del Golfo degli Stati Uniti contro l’Iraq di Saddam Hussein.

A Studio aperto rimane fino al 1992, quando Berlusconi lo vuole alla direzione del Tg4, il notiziario di Rete 4. Da quell’anno Emilio Fede segue lo scoppio dello scandalo di Tangentopoli e tutti gli eventi passati alle cronache come Mani Pulite, dal nome dell’inchiesta della procura di Milano sui casi di corruzione all’interno della classe politica e imprenditoriale del Paese. Si ricordano, a quel proposito, i celebri collegamenti di Paolo Brosio, inviato di giudiziaria del Tg4, davanti al Palazzo di Giustizia di Milano. Dalla sedia di direttore del tg di Rete 4 Emilio Fede segue la discesa in campo del Cavaliere, la fondazione di Forza Italia e le elezioni del ’94, che segnano la prima vittoria politica di Berlusconi e la formazione del suo primo governo. La sera del 28 marzo 1994, quando il risultato era ormai chiaro e si profilava il trionfo del Cavaliere, un Emilio Fede particolarmente emozionato, nel corso del telegiornale, commentò così l’esito elettorale: “Silvio Berlusconi ha vinto la sua battaglia. Consentitemi di dire che l’ha vinta con grande coraggio… che l’ha vinta quasi contro tutto e quasi contro tutti”.

Per tutta la stagione del Berlusconismo, il telegiornale di Emilio Fede si contraddistinse per una spiccata e rivendicata parzialità, basata su un racconto della politica fatto dal punto di vista di Forza Italia e del suo leader, senza mai mettere in discussione la sua azione – sia al governo che all’opposizione. Allo stesso tempo, si ricordano gli attacchi sistematici agli avversari del centrosinistra, le foto irridenti di Prodi, Veltroni e D’Alema, i commenti sprezzanti piazzati qua e là durante i lanci dei servizi, veri e propri editoriali. Il suo telegiornale, ad ogni modo, aveva uno stile unico e riconoscibilissimo, in cui Fede forniva il “suo” racconto dell’Italia berlusconiana, dalla privilegiata prospettiva del padrone di casa.

Nel 2012, dopo due decenni al timone, Fede conclude il suo rapporto con Mediaset con uno spiacevole strascico di polemiche e accuse, tra case in usufrutto, rescissione di contratti e richieste milionarie di risarcimenti. Viene anche coinvolto nel cosiddetto “Caso Ruby”, lo scandalo giudiziario che aveva investito il Cavaliere per il suo rapporto con la showgirl Karima el Marough, spacciata per “nipote di Hosni Mubarak”. I fatti poi assumeranno proporzioni mondiali e rientreranno nel caotico vortice che porterà alla caduta di Berlusconi, nel 2013. Rinviato a giudizio con Lele Mora e Nicole Minetti, Fede viene condannato, in primo grado, a 7 anni di reclusione (luglio 2013), pena poi ridotta in appello a 4 anni e dieci mesi (novembre 2014). La sentenza diventa definitiva nel 2019, dopo un ricorso in Cassazione per la sentenza d’appello e una nuova condanna in secondo grado (che conferma la riduzione della pena).

Agli arresti domiciliari per ragioni d’età e di salute, nel 2020 viene arrestato a Napoli per aver violato la misura: con la moglie Diana De Feo (collega giornalista e parlamentare del PdL), Fede aveva raggiunto il capoluogo partenopeo per andare in un ristorante a festeggiare i suoi 89 anni.

L’ultimo periodo, segnato dalla malattia, lo aveva visto apparire in tv raramente, con l’aspetto provato, in sedia a rotelle, affaticato e stanco.

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