Talento, idee, umanità. Angelo è stato un numero dieci che non se la tirava, mai. Nelle squadre di calcio sono pochi i fantasisti che corrono per gli altri: merce rarissima anche nelle redazioni, nei gruppi di autori. Doti utili nel lavoro quotidiano, indispensabili quando si confeziona un prodotto che entra nelle case di tutto il paese. Sapeva fare squadra, Angelo, anche a centinaia di chilometri di distanza.
Lo ricordo nelle fasi più calde della pandemia, quando la Lombardia era uno dei focolai d’Europa: la grazia in ogni telefonata e in tutte le proposte di servizio, la stessa che riproponeva dal vivo, negli incontri nelle stanze di Saxa Rubra dove era amato da tutti, e sinceramente.
L’unica nota di vera scaramanzia la riservava per la nostra Inter. Quel vizio che, parafrasando Javier Marias, è il prolungamento settimanale dell’infanzia. Il suo proverbiale sorriso si illuminava ancora di più sui piccoli aneddoti di campo, sulle gesta dei campioni della domenica, sulla stella diventate due, sul “nero della notte e l’azzurro del cielo”. Lascia tanti ricordi affettuosi e un metodo, Angelo, con la sua postura differente: la gentilezza e l’umanità applicate in un mestiere fatto di ritmi sempre più veloci. E spesso anche cinici.