I talebani hanno “deliberatamente privato” 1,4 milioni di ragazze afghane dell’istruzione secondaria da quando sono tornati al potere, esattamente tre anni fa, con il trionfante ingresso a Kabul delle milizie sciite e la fuga rocambolesca del personale americano dall’aeroporto (indelebili, le immagini della folla accalcata allo scalo della capitale, con alcuni disperati aggrappati agli aerei in decollo). Un governo, tornato al potere a venti anni esatti dalla cacciata imposta dall’esercito americano dopo la guerra d’invasione del Paese, conseguenza dell’11 settembre, che non è stato riconosciuto dalla comunità internazionale.
Il dato sulla privazione dell’istruzione secondaria per le donne viene pubblicato significativamente oggi dall’Unesco. “L’Afghanistan è oggi l’unico Paese al mondo a vietare l’accesso all’istruzione alle ragazze di più di 12 anni e alle donne” denuncia la direttrice generale dell’agenzia Onu per l’educazione, la scienza e la cultura, Audrey Azoulay, in un comunicato. “Il diritto all’istruzione non deve subire alcun negoziato né alcun compromesso. La comunità internazionale deve restare pienamente impegnata per ottenere la riapertura incondizionata delle scuole e delle università per le ragazze e le donne afghane” aggiunge Azoulay.
Posto di blocco talebano in Afghanistan (ansa)
I talebani hanno inoltre vietato alle donne di insegnare ai ragazzi, mentre il Paese soffre della mancanza di insegnanti uomini qualificati, che ha portato anche a un drastico calo delle iscrizioni. L’Unesco teme di conseguenza un possibile aumento “del lavoro minorile e dei matrimoni precoci” ma anche una penuria di competenze che potrebbe nuocere allo sviluppo dell’Afghanistan a lungo termine.
Le atlete afghane protagoniste delle recenti Olimpiadi
La condizione femminile in Afghanistan, del resto, non da oggi è posta sotto la lente di osservazione del mondo intero, degli organismi internazionali, delle agenzie delle Nazioni Unite e delle cancellerie occidentali, che si battono per i diritti delle donne e di un’intera popolazione schiacciata dal giogo talebano. E non mancano ribalte internazionali che offrono lo spunto per dare maggiore visibilità alla coraggiosa lotta delle afghane.
Kimia Yousofi (Ap)
Lo si è visto anche nelle recenti Olimpiadi di Parigi, con alcuni gesti dimostrativi, di riaffermazione dei diritti inalienabili degli esseri umani, e di vicinanza ad un popolo che soffre. Come, ad esempio, il gesto significativo della velocista Kimia Yousofi che, arrivando ultima nei 100 metri femminili per il proprio Paese ha voluto esibire sul pettorale gli slogan “Education” (“Educazione”) e “Our rights” (“I nostri diritti”). L’atleta, pur non essendo protagonista della gara per il risultato negativo, lo è diventata comunque per il suo gesto.
Venerdì scorso, 9 agosto, un’altra protagonista delle gare, la breaker Manizha Talash, che faceva parte della squadra dei Rifugiati, durante la prova per le prequalifiche, si è tolta la felpa nera che indossava per mostrare un panno celeste, una sorta di mantello, con la scritta in bianco “Free Afghan women”, “Donne afghane libere”. I commentatori della Nbc, che stava trasmettendo in diretta la gara, hanno sottolineato che “Talash gareggia per le donne di tutto il mondo”.
Manizha Talash con indosso la scritta “Donne afghane libere” (Getty)
“La Shari’a, nostra responsabilità fino alla morte”
La data di questo terzo anniversario è anche l’occasione, per la leadership talebana, di riaffermare quelli che vengono considerati principi irrinunciabili, un vero indirizzo di vita e di potere: “L’applicazione della Shari’a è nostra responsabilità fino alla morte” ha detto l’emiro Hibatullah Akhundzada, recluso nel suo feudo a Kandahar, nel sud del Paese, da dove governa l’Afghanistan per decreti o istruzioni. La dichiarazione è stata diffusa ieri dal suo portavoce sulle reti sociali.
“Fratelli, la nostra responsabilità è di essere al servizio della religione” ha anche detto Akhundzada davanti ad alcuni membri delle forze di sicurezza, riuniti in una base aerea a Kandahar. “Non è una responsabilità temporanea” ha proseguito l’emiro, “Fin quanto noi viviamo, osserveremo la religione di Allah e la Shari’a, per noi e per gli altri. Il sistema islamico si rinforza di giorno in giorno” ha aggiunto Hibatullah Akhundzada, che raramente si mostra in pubblico.
Le celebrazioni per il terzo anniversario del ritorno al potere, secondo quanto segnalato dal calendario persiano in tutto il Paese, hanno previsto, tra le altre cose, una parata militare nella ex base Usa di Bagram.