«Ansie e ossessioni? Crescendo si trova un equilibrio»- Corriere.it

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di Valerio Cappelli

Su Sky continua la saga ispirata al cult francese sul cinema visto «dal di dentro». «Mi proponevano 40 copioni, scappai a Parigi»

Le regole surreali, segrete, spesso ignote che governano il rapporto tra gli agenti di cinema e i loro clienti, attori e registi. Per fare gli agenti, bisogna essere dei disperati o amare disperatamente il cinema. Un mestiere senza regole né orari. Un corpo a corpo, un ring fatto di nevrosi, paure, manìe, ossessioni. Stefano Accorsi venerdì fa sé stesso in uno dei due ultimi episodi (nell’altro c’è Corrado Guzzanti) di «Call My Agent», la serie di Sky diretta da Luca Ribuoli e scritta da Nur Sultan.

Nell’episodio dice che può fare sia Romeo che Giulietta. Quanto le somiglia quello Stefano lì?

«Ero così fino a dieci anni fa, quando sono tornato in Italia dalla Francia. L’ho vissuta quell’ansia. Ero andato a Parigi perché a Roma mi proponevano quaranta copioni insieme, avevo bisogno di un distacco, non ero più lucido. Mi rappresentava Dominique Besnehard, produttore della serie originale francese che si intitola Dieci percento (la percentuale degli agenti), e nell’episodio di venerdì appare in un cameo. Tornai in Italia, al punto di partenza, mi mancava quell’adrenalina, il buon caffè, la famiglia… Checco Zalone in Quo vado? descrive bene la semplicità della vita dopo che si era trasferito in Norvegia, una dimensione che gli era estranea».

Un treno su cui non è salito?

«È successo due volte con Marco Bellocchio, e mi è spiaciuto molto perché è un autore vero, un uomo curioso in costante ricerca: “La balia”, dove il ruolo non mi sembrava indispensabile e fu un mio errore di valutazione, e “Buongiorno, notte”, dove l’occasione si spense da sola».

Progetti che si sono sovrapposti?

«Mi proposero nello stesso momento “L’ultimo bacio” di Gabriele Muccino e “Le fate ignoranti” di Ferzan Özpetek. Ero disperato, volevo farli entrambi. Pensavo di scegliere il ruolo più distante da me, per Ferzan, e volevo anche l’altro. Gabriele me ne disse di ogni. Facendo arrabbiare tutti, riuscii ad anticipare e posticipare i due progetti».

I suoi primi passi?

«L’esordio fu a 20 anni per Pupi Avati. Il mio book fotografico erano degli scatti al mare di quando facevo il bagnino. Ho avuto la mia gavetta. Venivo dalla piccola borghesia provincia emiliana, papà tipografo, mamma segretaria in una scuola pubblica. Il lavoro era quella cosa lì, venivo da una famiglia normale. Il cinema è stato un salto nel buio, non avevo nessun tipo di conoscenza. A Roma a 24 anni ho avuto le mie notti brave, ma non era quello che volevo, mi ha salvato il mio pratico istinto emiliano».

Cos’era il cinema per lei da adolescente?

«Era un modo per inventarmi film nella mia testa. Amavo Sergio Leone, i suoi western inventati in Spagna, e poi eroi e antieroi che lo sono loro malgrado. Se penso a un suo celebre film, il buono non è buono fino in fondo, il brutto è cattivo e il cattivo ha una sua sensibilità».

In «Call My Agent», gli agenti sono dei signorsì, non contraddicono mai il cliente, attore o regista. Ma in passato Giovanna Cau con Mastroianni poteva essere feroce.

«Ci sono quelli in balìa degli attori, io ho la fortuna di lavorare con Moira Mazzantini che ha grande esperienza e se ti dice non si può fare non si fa. Sono tante le componenti emotive, magari un attore non lavora, o subisce pressioni, o i progetti non si incastrano, o promette e non sa dire di no. Il messaggio di questa serie è di non prendersi troppo sul serio».

Quale altro episodio le è piaciuto?

«Il monologo di Paolo Sorrentino sull’inutile entusiasmo dei genitori per i figli a scuola è molto brillante».

Lei che padre è?

«Ho quattro figli, dai 2 ai 16 anni, tre vivono a Milano con me e mia moglie, autrice in tv, sono innamorato, con lei sto bene. Parliamo di tante cose extra cinema, che mi aiutano e nutrono la mia immaginazione. Mi piace la quotidianità con la famiglia, mi piace correre, allenarmi. Ho 51 anni, lavorare sempre in giro un po’ comincia a pesarmi».

Quindi rallenta?

«Esce il film “Ipersonnia” su Prime, poi avrò la serie “Un amore” con Micaela Ramazzotti, “Azul” a teatro e…».

Lo vede che ci ricasca?

«Esploro tutto. E ho sempre amato ridere e scherzare, solo che questi miei aspetti non vengono fuori tanto, perché ti appiccicano delle etichette e un’immagine che non è facile scrollarsi di dosso. Hai una tale pressione addosso che non è facile».

E allora chiama l’agente.

«Nel weekend solo per le urgenze. In ogni caso, crescendo si trova un equilibrio».

30 gennaio 2023 (modifica il 30 gennaio 2023 | 20:30)

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