“Alessia Pifferi non ha mai mentito, ha mentito come può mentire una persona con scarse capacità. Diceva bugie che avevano le gambe corte, proprio come fanno i bambini. Non aveva grande capacità di mentire o simulare, non sapeva neanche cosa significasse il termine simulazione, me lo ha chiesto alla fine del processo di primo grado. Pifferi ha seri problemi cognitivi”. È quanto ha detto il difensore Alessia Pontenani, discutendo davanti alla Corte d’Assise di appello di Milano la sua stessa richiesta di sottoporre la 38enne, condannata in primo grado all’ergastolo per l’omicidio della figlia Diana, a una nuova perizia psichiatrica. Dalla prima, effettuata dall’esperto Elvezio Pirfo, era risultata capace di intendere e volere.

 

“Non vi è alcuna necessità di effettuare una nuova perizia, quando ne abbiamo una che risponde ad ogni opposizione che è stata fatta”. È quanto ha osservato il sostituto pg Lucilla Tontodonati, discutendo nel processo d’appello a carico di Alessia Pifferi la richiesta avanzata dall’avvocato Alessia Pontenani di sottoporla a una nuova perizia psichiatrica collegiale.

La difesa ha sempre sostenuto che la donna soffrisse di un “grave deficit cognitivo”. Una tesi smentita dall’esame psichiatrico effettuato in primo grado dal perito Elvezio Pirfo, che l’aveva valutata capace di intendere e volere, e che, come ha sottolineato la pg, ha già dato “risposte assolutamente soddisfacenti su tutto”.

L’avvocato generale, nel suo intervento, ha ricordato come dai test effettuati siano emersi “contemporaneamente deficit cognitivi, psicotici e depressivi”, una condizione per la quale Pifferi “sarebbe stata necessariamente ricoverata e non avrebbe potuto vivere fino a quel momento una vita, magari non brillante, ma autonoma”. La donna avrebbe quindi “amplificato i sintomi” e dato dimostrazione di “un’intelligenza di condotta” anche quando, lasciando la piccola Diana in casa da sola per cinque giorni e mezzo, ha dato “tre versioni diverse a tre persone diverse su dove fosse la bambina”. Per il sostituto pg, si tratta quindi di “una persona che si sta precostituendo una giustificazione per un comportamento che sa essere sbagliato”.

Nessun elemento, in sostanza, che possa “far pensare a una incapacità”. Pifferi, che all’inizio dell’udienza non ha voluto rendere dichiarazioni spontanee, è presente in aula accanto al difensore. Seduti nei banchi dietro di lei, anche alcuni familiari tra cui la sorella Viviana Pifferi e la madre Maria Assandri, parti civili nel processo. Al termine delle discussioni, la Corte d’Assise d’appello di Milano dovrà decidere sulla richiesta di una nuova perizia.

 

L’avvocato di parte civile Emanuele De Mitri, che assiste la sorella Viviana Pifferi e la madre Maria Assandri, si è associato alla richiesta dell’accusa di non effettuare un nuovo esame peritale. “La sentenza ha certificato come Pifferi fosse una donna bugiarda, simulatrice, che si è inventata circostanze pur di salvare la sua posizione”, ha detto. “Anche durante la perizia ha simulato una persona che non è mai stata e ha mentito anche davanti al perito”. Il consulente della difesa, ha aggiunto, “ha cercato in tutti i modi di arrivare dove i dati diagnostici non potevano arrivare”.

La morte della piccola Diana e la condanna

Alessia Pifferi, 39 anni, nel luglio 2022 lasciò da sola in casa per sei giorni la figlia Diana di meno di un anno e mezzo, che morì di stenti. La donna è stata condannata in primo grado per omicidio volontario aggravato dai futili motivi e dal vincolo di parentela, mentre è stata esclusa la premeditazione. Per la difesa, invece, Pifferi “non ha mai voluto uccidere la figlia ed esiste un reato nel nostro codice, che è l’abbandono di minore: è il nostro caso, è la morte di Diana”. Per il difensore e per i suoi consulenti, la donna ha un ritardo mentale e, in particolare, un quoziente intellettivo di una “bimba di 7 anni”.

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