In una intervista a cuore aperto, rilasciata alla Gazzetta dello Sport, Bruno Conti, che compirà 70 anni il prossimo 13 marzo, icona del club giallorosso, ripercorre la sua carriera, racconta aneddoti ma, soprattutto, ringrazia chi lo ha aiutato ad uscire da un momento difficile: Due anni fa mi hanno diagnosticato un tumore al polmone, devo ringraziare il mio medico di famiglia, il dottor Camilli, che si è accorto subito della mia tosse persistente e il professor Rendina del Sant’Andrea per le cure che hanno funzionato. E non dimentico il presidente Dan Friedkin che voleva portarmi a sue spese negli Stati Uniti: conservo le sue affettuose lettere. Ora però sto bene, gli esami sono tutti a posto. E posso dire che mi è riuscito un altro dribbling…”.

L’amore per la squadra del cuore, la Roma, dove ha trascorso 50 anni della sua vita, è il “fil rouge” del suo racconto: “Sono l’uomo con la più lunga militanza in giallorosso da calciatore, allenatore e dirigente: un grande orgoglio”.

 

Bruno Conti (gettyimages)

Alla domanda ‘cosa è stata la Roma per lei’, la risposta è semplice: “Cosa è: tutta la mia vita. Ancora oggi quando sento gli inni di Venditti, Fiorini e Conidi mi emoziono, mi viene la pelle d’oca. Ho passato due anni al Genoa per farmi le ossa in prestito, avendo come maestro Simoni, ma non ho mai pensato di lasciare la Roma, neanche quando Maradona ogni volta che ci incontravamo mi diceva “vieni a Napoli”. Mio padre, romanista fino al midollo, non me l’avrebbe mai perdonato”.

E’ un flusso continuo di memorie e emozioni: Falcão, Liedholm, Dino Viola, Totti. Una vita ricca, piena di momenti felici, ma anche di qualche momento doloroso come la scomparsa di un amico e compagno di squadra: “La perdita di Agostino Di Bartolomei è una ferita che non si rimarginerà mai. Era il mio idolo, il mio capitano. Prima che accadesse l’irreparabile avevo organizzato una partita al palazzetto dello sport per un ex compagno sfortunato. Vennero tutti i ragazzi dello scudetto, Agostino era lì con noi e suo figlio Luca. Rideva, era normale. Non ci siamo accorti del suo disagio, se solo avesse parlato, chiesto aiuto. Io non riesco ad accettarlo: Ago, perché?”.

Condividere.
Exit mobile version