Il Tribunale dei ministri ha chiesto l’autorizzazione a procedere per il caso Almasri nei confronti del sottosegretario Alfredo Mantovano, del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e del ministro della Giustizia Carlo Nordio

Sono tutti accusati di concorso in favoreggiamento personale aggravato, Mantovano e Piantedosi sono accusati anche di peculato aggravato, mentre a Nordio viene contestato anche il reato di rifiuto di atti d’ufficio, sempre aggravato. 

Nelle 90 pagine della richiesta, i giudici ricostruiscono i fatti, in ordine cronologico – dalla richiesta di arresto del criminale libico da parte della Corte penale internazionale fino alla liberazione e al rimpatrio a Tripoli con un volo di Stato italiano.

“Sia la Giunta che l’Aula esprimeranno tre voti distinti, con voto palese in Giunta e segreto in Aula, la quale voterà definitivamente entro ottobre”. Lo rende noto il presidente della Giunta per le autorizzazioni della Camera Devis Dori che ha anche specificato che la Giunta inviterà il sottosegretario Alfredo Mantovano e i ministri Matteo Piantedosi e Carlo Nordio, indagati sul caso Almasri, “a fornire i loro chiarimenti”. Dori ha confermato che l’ufficio di presidenza di oggi “ha deciso alla unanimità i tempi dell’esame delle carte inviate dal Tribunale dei Ministri”, dando “di fatto avvio ai lavori. Entro la fine di settembre sarà pronta la relazione per l’Aula” e “si terranno almeno cinque sedute”.

Archiviata la posizione della premier Giorgia Meloni

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni affida gli aggiornamenti sulla decisione del tribunale dei ministri di archiviare la sua posizione sul caso Almasri a un post sui social, lasciando trasparire la sua indignazione. 

“È una tesi palesemente assurda. A differenza di qualche mio predecessore che ha preso le distanze da un suo ministro in situazioni similari, rivendico che questo governo agisce in modo coeso sotto la mia guida: ogni scelta, soprattutto così importante, è concordata. È quindi assurdo chiedere che vadano a giudizio Piantedosi, Nordio e Mantovano, e non anche io, prima di loro. Nel merito ribadisco la correttezza dell’operato dell’intero esecutivo – ha proseguito – che ha avuto come sola bussola la tutela della sicurezza degli italiani. L’ho detto pubblicamente subito dopo aver avuto notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati, e lo ribadirò in Parlamento, sedendomi accanto a Piantedosi, Nordio e Mantovano al momento del voto sull’autorizzazione a procedere”, conclude la premier.

Il legale della vittima: la Procura riapra le indagini

“Le parole con cui Meloni ha rivendicato una scelta concordata con i ministri del suo governo sulla vicenda Almasri sono una confessione delle proprie responsabilità. La Procura riapra le indagini di fronte a un elemento di novità come questo”. A dirlo l’avvocato Francesco Romeo, legale di Lam Magok, vittima delle torture del generale libico Almasri, in merito all’archiviazione della premier Giorgia Meloni da parte del Tribunale dei ministri.   

”In questa vicenda ci sono reati che sono perseguibili di ufficio – aggiunge – Un’archiviazione non è un provvedimento definitivo, può sempre essere rimessa in discussione se intervengono elementi di novità come in questo caso. Se Meloni è convinta di aver fatto tutto bene, allora lei e i ministri possono affrontare serenamente il processo, senza nascondersi dietro l’immunità”.  

L’avvocato poi aggiunge: “Aspettiamo anche il percorso parlamentare sulla richiesta di autorizzazione a procedere. Poi valuteremo il da farsi”.

Scontro tra Nordio e l’Anm

Si accende uno scontro a distanza tra il ministro e il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Cesare Parodi: “Un processo dove vengono accertati magari in via definitiva certi fatti ha evidentemente un ricaduta politica sulle persone coinvolte”. Parodi fa riferimento alla possibilità che il capo di gabinetto del ministero della Giustizia Giusi Bartolozzi vada a processo per il caso del generale libico arrestato e poi rilasciato dall’Italia. 

“Sono sconcertato dalle parole di un presidente Anm considerato, sino ad ora, equilibrato. Non so come si permetta di citare la mia capo di gabinetto, il cui nome per quanto almeno mi risulta, non è citato negli atti. In caso contrario dovrei desumere che Parodi è a conoscenza di notizie riservate. Quanto all’aspetto politico, considero queste affermazioni una impropria ed inaccettabile invasione di prerogative istituzionali’, la reazione del ministro della Giustizia. Poi la precisazione di Parodi: ”Mai citato Bartolozzi, il mio era un ragionamento”. 

Associazione Nazionale Magistrati: “Responsabilità politica e penale sono due cose diverse”

“Credo che la premier Meloni sulla vicenda Almasri, come normale che sia essendo il capo del governo, si sia assunta la responsabilità politica, che non sempre coincide con quella penale. Sono due cose diverse”. Così il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Cesare Parodi a Radio Anch’io, in merito alle parole di Giorgia Meloni, la quale ha definito assurdo il fatto che la sua posizione nel caso Almasri sia stata archiviata mentre per i ministri possa essere chiesta l’autorizzazione a procedere. 

La vicenda

Il caso ha avuto inizio lo scorso 6 gennaio, quando il capo della polizia giudiziaria libica ha iniziato il suo viaggio per l’Europa, volando da Tripoli a Londra e facendo scalo all’aeroporto di Roma-Fiumicino. Dopo essersi trattenuto nella capitale britannica per sette giorni, il 13 gennaio Almasri si è trasferito a Bruxelles in treno per poi proseguire diretto in Germania, viaggiando in macchina con un amico. Durante il suo tragitto verso Monaco, il 16 gennaio, è stato fermato dalla polizia per un controllo di routine e gli agenti lo hanno lasciato proseguire. Infine è arrivato a Torino in auto, per assistere a una partita di calcio. 

Sabato 18 gennaio, dodici giorni dopo l’inizio del viaggio del comandante libico in giro per l’Europa, la Corte penale internazionale – con una maggioranza di due giudici a uno – spicca un mandato d’arresto sul generale per crimini di guerra e contro l’umanità commessi nella  prigione di Mittiga, vicino a Tripoli, dal febbraio 2011. In quel carcere sotto il suo comando, secondo i documenti dell’Aia, sarebbero state uccise 34 persone e un bimbo violentato.

Domenica 19 gennaio Almasri, da poco arrivato nel capoluogo piemontese, viene fermato e messo in carcere dalla polizia italiana ma viene in seguito rilasciato il 21 gennaio su disposizione della Corte d’Appello a causa di un errore procedurale: si è trattato di un arresto irrituale, perché la Corte penale internazionale non aveva in precedenza trasmesso gli atti al Guardasigilli Nordio. L’arresto non è stato “preceduto dalle interlocuzioni con il ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la Corte penale internazionale; ministro interessato da questo ufficio in data 20 gennaio, immediatamente dopo aver ricevuto gli atti dalla Questura di Torino, e che, ad oggi, non ha fatto pervenire nessuna richiesta in merito“, si legge nell’ordinanza della corte di Appello di Roma, che dispone l’immediata scarcerazione.

Rimpatriato con volo di Stato

Poco dopo il suo rilascio, nello stesso giorno, il comandante libico è stato rimpatriato dall’Italia su un volo di Stato, prima di essere portato in trionfo da decine di suoi sostenitori che lo hanno accolto festanti. La serie di eventi ha scatenato le accese proteste dell’opposizione e della stessa Corte penale internazionale, dopo aver visto sfumare la consegna di un uomo che voleva arrestare per crimini di guerra e contro l’umanità. “Stiamo cercando, e non abbiamo ancora ottenuto, una verifica da parte delle autorità sui passi compiuti”, ha fatto sapere la Corte Penale Internazionale. 

Un paio di giorni dopo il governo interviene ufficialmente per la prima volta, attraverso il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che al question time al Senato fornisce una prima risposta: una volta scarcerato su disposizione della Corte d’Appello, Almasri è stato “rimpatriato a Tripoli, per urgenti ragioni di sicurezza, con mio provvedimento di espulsione, vista la pericolosità del soggetto” e per il fatto che dal momento del rilascio “era ‘a piede libero’ in Italia”.

Dopo l’annuncio dell’indagine, l’intervento atteso di Piantedosi e Nordio sul caso Almasri è inizialmente saltato. L’informativa si è poi tenuta il 5 febbraio: i ministri dell’Interno e della Giustizia hanno sostenuto la correttezza dei loro atti, contrapponendola alle “incongruenze” ed agli “errori” di quelli della Corte dell’Aja. In particolare, si è parlato di un arresto eseguito senza la preventiva consultazione col ministero della Giustizia, di un mandato della Corte penale internazionale con “gravissime anomalie” e dunque “radicalmente nullo”. In particolare, Nordio ha spiegato che la Giustizia non ha un ruolo da mero “passacarte”, ma è un “organo politico” che analizza e valuta bene prima di decidere. E mentre via Arenula valutava, la Corte d’appello di Roma scarcerava il libico, rilevando “irritualità” nell’arresto, perché “non preceduto dalle interlocuzioni con il ministro della Giustizia”, che, interessato il giorno prima dalla stessa Corte “non ha fatto pervenire alcuna richiesta in merito”. Ma non c’è stata negligenza, sottolinea il Guardasigilli: nel documento della Cpi, “c’era tutta una serie di criticità che avrebbero reso impossibile un’immediata richiesta alla Corte d’appello“.

La Corte Penale Internazionale chiede spiegazioni

A febbraio la CPI ha chiesto spiegazioni sul rilascio di Almasri. “Il 21 gennaio 2025, senza preavviso o consultazione con la Corte, il signor Osama Almasri Njeem sarebbe stato rilasciato dalla custodia e riportato in Libia. La Corte sta cercando, e deve ancora ottenere, una verifica dalle autorità sui passi presumibilmente intrapresi. La Corte ricorda il dovere di tutti gli Stati Parte di cooperare pienamente con la Corte nelle sue indagini e nei procedimenti penali per crimini”.

“La Corte – si legge ancora – ha continuato a impegnarsi con le autorità italiane per garantire l’effettiva esecuzione di tutti i passi richiesti dallo Statuto di Roma per l’attuazione della richiesta della Corte. In questo contesto, la Cancelleria ha anche ricordato alle autorità italiane che, nel caso in cui si dovessero individuare problemi che potrebbero ostacolare o impedire l’esecuzione della presente richiesta di cooperazione, dovrebbero consultare la Corte senza indugio per risolvere la questione”, affermando che l’Italia non ha consultato la CPI per il rilascio.

Palazzo Chigi invia una memoria difensiva

A maggio, il governo Italiano ha inviato alla Corte penale internazionale dell’Aja la propria memoria difensiva.

I giudici con base nei Paesi Bassi, in sostanza, hanno accusato l’Italia di non aver eseguito il mandato d’arresto, di non aver perquisito Almasri, di non aver sequestrato i dispositivi in suo possesso e di aver sperperato denaro pubblico rimpatriandolo a Tripoli a bordo di un aereo dell’intelligence.

Il 28 gennaio la presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva annunciato di essere indagata – in seguito a una denuncia presentata dall’avvocato Luigi Li Gotti – per favoreggiamento e peculato dalla Procura di Roma in relazione al rimpatrio di Almasri. Con lei anche il ministro della Giustizia Carlo Nordio, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il sottosegretario Alfredo Mantovano. accusato di inerzia, il ministro Nordio si era difeso in Parlamento sostenendo che la richiesta di arresto dell’Aja fosse irregolare e che non erano state rispettate le sue prerogative.

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