Nella vicenda di Stefano Cucchi secondo i giudici della Corte di Appello di Roma, la catena fdi comando dei Carabinieri fece in modo di ricondurre la responsabilità del decesso alle condizioni di Stefano Cucchi: in quanto epilettico, tossicodipendente (quando lo era sì stato in precedenza, ma non lo era nel momento), anoressico (quando era solo molto magro), addirittura sieropositivo (dettaglio falso prima riferito e poi subito smentito), e nonostante nessuna anomalia si era verificata durante la detenzione e la custodia affidate all’Arma.

Il 19 giugno scorso i giudici di seconda istanza confermarono la condanna ad un anno e tre mesi per il colonnello Lorenzo Sabatino e a 2 anni e sei mesi per Luca De Cianni. In quell’occasione venne riconosciuta la prescrizione per il generale Alessandro Casarsa, e per i militari dell’Arma Francesco Cavallo e Luciano Soligo. Caddero invece le accuse per Massimiliano Colombo Labriola e Tiziano Testarmata, già condannati a 1 anno e 9 mesi. Per Francesco Di Sano la penavenne ridotta a 10 mesi.

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Nonostante la prescrizione per il generale Casarsa i giudici hanno dimostrato che l’intento dei Carabinieri comandati da Casarsa, che all’interno all’esterno e verso le altre Istituzioni doveva rispondere dell’operato dell’Arma romana, non è stato quello di trovare “la mela marcia”, ossia di approfondire realmente la dinamica degli eventi ma, al contrario, di restituire una realtà di comodo”. Per i giudici d’appello ”il quadro probatorio ricostruisce dunque una immagine di Casarsa interessato essenzialmente a presentare quella verità di comodo circa le condizioni di salute di Stefano Cucchi che avrebbe orientato gli inquirenti verso soggetti diversi dai Carabinieri (soggetti vittime, dopo Cucchi e la sua famiglia, di tale sviamento)”. È quanto scrivono i giudici della Corte d’Appello di Roma nelle motivazioni della sentenza sul procedimento legato ai depistaggi legati alla morte di Stefano Cucchi.

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