Un caso ritornato sulle prime pagine ormai da mesi, e che si avvicina al 18imo anniversario: ma sull’omicidio di Garlasco, i dubbi le ipotesi continuano ad aleggiare, con nuove perizie e scontri tra avvocati, in attesa della riapertura del tribunale a settembre. In carcere, resta sempre lui, Alberto Stasi, ritenuto da una sentenza d’appello colpevole dell’assassinio di Chiara Poggi. Una sentenze, che ribaltò le due precedenti che erano di assoluzione, in un incredibile caso giudiziario dove i colpi di scena – ed è storia degli ultimi mesi – sono diventati quasi la prassi. Ma quali furono gli elementi che portarono la corte a condannare Stasi?
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Le indagini e la sentenza di colpevolezza
Ecco gli elementi principali che portarono alla sentenza: l’analisi delle macchie di sangue “utilizzate per ricostruire le modalità dell’omicidio”, ha “evidenziato” che Chiara Poggi “venne colpita già all’ingresso” della villetta, “ai piedi della scala di accesso al piano superiore”. Fu “trascinata lungo il corridoio verso la porta a libro della cantina” e, poi, il corpo fu “gettato” giù “dalle scale”. Così la Corte d’Assise d’appello nel processo di secondo grado bis che condannò nel dicembre 2014 Alberto Stasi a 16 anni con verdetto confermato dalla Cassazione, ha ricostruito la scena del crimine di Garlasco.
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TG3/Fichera (Rai)
Chiara “Fece entrare una persona che lei ben conosceva e aspettava”
I giudici, nel processo che era stato riaperto dopo l’annullamento da parte della Suprema Corte delle due assoluzioni per l’ex bocconiano, stabilì che i periti dovevano di nuovo ricostruire il “luogo teatro dei fatti utilizzando le moderne tecniche geomatiche, estendendole ai primi gradini della scala che conduce alla cantina e posizionandovi le tracce di sangue presenti sul pavimento”. E’ “pacifico“, scrissero i giudici, che Chiara quella mattina del 13 agosto 2007 “aprì fiduciosa il cancello e la porta di casa dopo averne disattivato l’allarme”. Fece entrare una persona che “lei ben conosceva e aspettava, tanto da non preoccuparsi di accoglierlo in pigiama”.
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Nessun segno di furto o violenza
E pure “l’avere gettato il corpo giù dalle scale induce a ritenere che l’aggressore ben conoscesse anche la casa e la dislocazione dei locali”. Poi, mancavano “segni” che potevano “ricondurre l’aggressione ad un tentativo di furto o di violenza”. Chiara “non si è difesa e non ha reagito affatto”, “a ulteriore conferma del rapporto di estrema confidenza e intimità col visitatore, e del fatto che proprio per questo si fidasse di lui e non si aspettasse in nessun modo di venire da lui così brutalmente colpita”.
Così come – scriveva sempre la Corte – la “univoca direzione, al capo, dei colpi inferti” con un oggetto mai trovato, un martello o un attrezzo da camino forse, è “significativa” di un “rapporto di intimità scatenante una emotività” giustificabile solo “tra soggetti che si conoscevano bene”.
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Gli esami disposti nell’appello bis, anche medico-legali, accertarono pure la “breve durata dell’aggressione”. E’ sufficiente, si legge nella perizia, “un tempo assai breve per determinare la formazione” di una traccia di sangue come quella alla base della scala che porta al primo piano. Dopo aver “tramortito la vittima l’aggressore la trascinava verso la porta di accesso della cantina” ma là, “forse per una sua reazione” la “colpiva di nuovo” alla testa “nello spazio antistante alla porta del corridoio”, considerate “le macchie sullo stipite destro di tale porta”.
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Porta davanti alla quale Chiara fu ancora colpita “con violenza”, come dimostrano le tracce di sangue riscontrate sulla scena del crimine. L’omicidio per la Corte durò “pochi minuti”. I giudici ritennero che il “quadro indiziario” a carico di Stasi fosse “stato rafforzato dall’ampia rinnovazione istruttoria”. Come quei “risultati”, tra i vari elementi, che esclusero che lo studente potesse essere entrato in casa, scoprendo il cadavere di Chiara in fondo alle scale, “senza il trasferimento di sangue sulle sue scarpe prima e sui tappetini dell’auto poi”.
La sua “descrizione del ritrovamento del corpo” e “della scena del crimine”, per la sentenza definitiva, era quella che veniva non “dallo Stasi-scopritore” ma da “Stasi-aggressore, che aveva ucciso la fidanzata ore prima, per poi simularne il successivo ritrovamento”.
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Tutti elementi (spesso, come si può leggere, indiziari) sono stati successivamente messi in dubbi dai legali di Stasi, e che ulteriori indagini iniziate con la riapertura dell’inchiesta dalle procura di Pavia, hanno messo ora in discussione.
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Gli scenari trascurati e gli errori
Evidenziando, soprattutto, discrasie o evidenti errori nei procedimenti giudiziari, dalla raccolta delle impronte in casa Poggi, alla dinamica delle indagini delle forze dell’ordine all’epoca, con diversi elementi in parte trascurati, o – secondo diversi periti – non seguiti adeguatamente.
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