Non potevano non provocare una reazione della famiglia, le parole del promotore di giustizia del Vaticano, Alessandro Diddi, che ieri ha confermato l’esistenza in Vaticano di un dossier su Emanuela Orlandi, “quello cui allude Pietro”, segnalatogli a sua volta dall’ex maggiordomo infedele “Paolo Gabriele”. “Pur rispettando il segreto istruttorio – dichiara all’ANSA la legale degli Orlandi, Laura Sgrò – va evidenziato che la famiglia Orlandi ha fatto richiesta di prendere visione ed estrarre copia di questo fascicolo sin dal 2017, mentre l’inchiesta vaticana è stata aperta solo nel gennaio del 2023, ben sei anni dopo. Perciò, è lecito chiedersi: chi ha custodito questo fascicolo fino ad ora, visto che in più occasioni, è stato riferito pubblicamente dalle autorità vaticane che non esisteva alcun fascicolo e che quello di Emanuela Orlandi era ‘un caso chiuso’?”.

Pietro Orlandi ha affidato ai social una sua reazione più personale, in cui a caldo, ha scritto: “Facciamo finta di credere che l’abbiano trovato ora e che non stava già in Segreteria di Stato dal 2012 ma va bene, l’importante è che ora hanno ammesso di averlo anche se dicono che ‘il contenuto è riservato’… e naturalmente speriamo non modificato”.

La famiglia Orlandi confida ora che “vengano finalmente date delle risposte chiarificatrici”, soprattutto in ragione delle “innumerevoli istanze da loro formulate alle autorità vaticane” e si appella inoltre tanto alla procura di Roma, dove è in corso un’indagine, quanto alla Commissione Parlamentare di inchiesta affinchè “acquisisca il fascicolo”. Quale ne sia il contenuto resta, come ha detto ieri lo stesso Diddi, “riservato”.

E’ noto che dalla stagione di Vatileaks emerse che Paolo Gabriele, condannato e poi graziato per aver trafugato documenti riservati della Santa Sede, aveva individuato un dossier con su scritto “Orlandi” sulla scrivania dell’allora segretario di papa Benedetto XVI, mons. Georg Gaenswein, nel frattempo nominato nunzio in Lituania. A un altro fascicolo ha fatto riferimento l’ex Comandante della Gendarmeria vaticana, Domenico Giani, audito la settimana scorsa dalla Commissione bicamerale di inchiesta. In quella sede, Giani aveva parlato di una “attività informativa”, non di indagine, da lui svolta negli anni passati quando appunto era capo della polizia vaticana, confluita nella documentazione in possesso dell’ufficio del Promotore.
Documenti, ha sempre chiarito ieri Diddi, che, nel caso la Commissione li volesse acquisire, andrebbero chiesti seguendo l’iter istituzionale, cioè attraverso rogatorie internazionali.
 

 

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