È stata definita come una lotta impari, pari a quella di Davide contro Golia. Secondo l’ultimo studio della Cgia, le multinazionali del web presenti in Italia versano alle tasse proporzionalmente molto meno denaro rispetto alle piccole e medie imprese del nostro Paese.
Se le nostre piccole imprese pagano ogni anno 24,6 miliardi di tasse – si parla di 2,9 milioni di imprese con un fatturato annuo inferiore a 5 milioni di euro per cui le imposte calcolate sono Irpef, Ires e Irap – le 25 multinazionali del web presenti in Italia invece, ne versano molte meno: 206 milioni di euro, stando ai dati forniti dall’Area Studi di Mediobanca.
“Certo, le dimensioni economiche di queste due realtà sono molto diverse, ma, dal punto di vista degli artigiani mestrini, il risultato che emerge è sconsolante”, commentano dalla Cgia. Se le aziende italiane prese in esame producono un fatturato annuo 90 volte superiore a quello riconducibile alle big tech, in termini di imposte, invece, le prime ne pagano ben 120 volte più delle seconde. “Insomma, possiamo affermare con buona approssimazione che la distanza in termini di fatturato non giustificano quella relativa al gettito, così svantaggiosa per le Pmi. Certo, quella appena richiamata è una comparazione che presenta una serie di limiti metodologici e non ha alcun rigore scientifico. Tuttavia, il ricorso sistematico all’elusione praticato negli anni ha aumentato questa disparità di trattamento, mettendo in evidenzia in misura inequivocabile che, in Italia, alle grandi multinazionali, in questo caso tecnologiche, continua a essere riservato un prelievo fiscale ingiustificatamente modesto”, continuano dall’associazione.
Solo in Molise e Valle d’Aosta le big tech pagano più delle imprese locali
“Un banalissimo caso di scuola”, affermano dalla Cgia, riesce a dimostrare come il carico fiscale su questi giganti sia molto inferiore a quello in capo alle imprese italiane che, per oltre il 98 per cento del totale, hanno meno di 20 addetti: se nella regione più piccola del Mezzogiorno il gettito delle principali imposte pagate dalle aziende residenti in questo territorio è pari a 175 milioni di euro e in Valle d’Aosta a 190, nel 2022 i giganti del WebSoft hanno prodotto 9,3 miliardi di fatturato e versato al fisco italiano complessivamente 206 milioni di euro. “Nulla a che vedere con quanto “contribuiscono” le imprese lombarde che, invece, pagano all’erario 125 volte in più di quanto versano questi 25 colossi digitali, quelle laziali 56,7 in più, quelle emiliano-romagnole 38 e quelle venete 36,8”.
Imposte pagate dalle imprese e dai lavoratori autonomi (Ufficio Studi CGIA su dati Ministero Economia e Finanze )
“Evidentemente, in Italia c’è un trattamento fiscale che penalizza i piccoli e favorisce i giganti”: se sui nostri imprenditori grava un tax rate effettivo che sfiora il 50 per cento, sulle big tech, invece, si attesta, secondo l’Area Studi di Mediobanca, al 36 per cento.
E sebbene da quest’anno entri in vigore la Global minimum tax (Gmt), secondo il dossier curato dal Servizio Bilancio dello Stato della Camera, il gettito previsto dalla sola applicazione dell’aliquota del 15 per cento sulle multinazionali sarà molto contenuto. Si stima che nel 2025 il nostro erario incasserà 381,3 milioni di euro, nel 2026 427,9 e nel 2027 raggiungerà i 432,5. Nel 2033, ultimo anno in cui nel documento si stimano le entrate, le stesse dovrebbero sfiorare i 500 milioni di euro. Nel 2024 la Gmt interesserà 19 paesi UE: Spagna e Polonia, invece, si adegueranno a partire dall’anno prossimo, mentre Estonia, Lettonia, Lituania, e Malta hanno ottenuto una proroga sino al 2030. Cipro e Portogallo, infine, sono chiamate a rispondere alla sollecitazione giunta da Bruxelles che ha recapitato loro una lettera di messa in mora. Appare evidente che per le grandi holding presenti in UE rimane ancora la possibilità, almeno per i prossimi 5/6 anni, di spostare parte degli utili in alcuni paesi membri dove la tassazione continua essere molto favorevole.
Secondo l’associazione mestrina, è “indispensabile trovare un compromesso che non pregiudichi la fuga di queste aziende dal nostro Paese, ma allo stesso tempo le costringa a pagare il giusto, o quasi”.
Tintoria (LaPresse)
L’elusione, comunque, è una pratica che riguarda ormai tutti i grandi player
Tuttavia, non sono solo i giganti stranieri del web a sfruttare la fiscalità di vantaggio concessa ancora adesso da molti Paesi europei. Da alcuni anni, infatti, anche alcuni grandi player italiani hanno trasferito la sede fiscale o quella legale, magari solo di una consociata, all’estero.
“Molte di queste hanno deciso di spostare la sede legale nei Paesi Bassi, ad esempio, perché lì è possibile beneficiare sia di una legislazione societaria molto favorevole – che permette agli azionisti storici di avere il doppio dei voti in assemblea, modalità che consente di difendersi meglio da eventuali scalate provenienti da investitori stranieri – sia, eventualmente, di un trattamento tributario alquanto generoso, che il governo olandese riserva a ogni big company disposta ad aprire la sede fiscale ad Amsterdam”.
Con queste operazioni, formalmente ineccepibili da un punto di vista fiscale-societario, si è però ridotta la base imponibile di coloro che pagano le tasse in Italia, “penalizzando, come abbiamo visto, in particolar modo le realtà imprenditoriali di piccola e piccolissima dimensione che, a differenza delle grandi aziende, non hanno la possibilità di lasciare armi e bagagli e trasferirsi altrove”, conclude la Cgia.
Meccanico in officina (Pixabay)