In appena ventiquattr’ore, il neopresidente statunitense Donald Trump, a colpi di decreti esecutivi, ha deciso, tra le varie risoluzioni, di ritirare il suo Paese da importanti accordi internazionali, considerati un fardello dal nuovo corso Maga. Due in particolare saltano agli occhi: l’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) e gli Accordi di Parigi sul clima. Lo ha fatto, ieri sera, di fronte a migliaia di sostenitori, riuniti alla Capitol One Arena, accompagnando i decreti con una lettera, che informa le Nazioni Unite della decisione.

 

L’uscita dall’OMS

La partecipazione degli Usa all’OMS era sancita dal Trattato istitutivo dell’Agenzia specializzata dell’ONU, firmato a New York nel 1946 ed entrato in vigore due anni dopo. Non è la prima volta che gli Stati Uniti decidono di uscire da quest’organismo: era già successo nell’estate 2020, quando Trump aveva accusato l’OMS di aver gestito male la pandemia di Covid, intendendo soprattutto sospendere i finanziamenti americani. L’avvicendarsi alla Casa Bianca con Joe Biden aveva poi stoppato l’uscita: l’ex presidente, infatti, proprio come ha fatto Trump, tra i suoi primi decreti esecutivi aveva stabilito la permanenza degli Usa nell’Agenzia mondiale che si occupa di sanità.

L’uscita dagli Accordi di Parigi

Stesso copione per gli Accordi sul clima, firmati a Parigi nel 2016: Trump lo aveva già fatto nell’estate 2017, poi Biden aveva ribaltato la sua decisione una volta diventato presidente. Gli ambiziosi obiettivi dei patti sul clima (mantenimento a 2° dell’aumento della temperatura del Pianeta, rispetto alla fase preindustriale; aiuti finalizzati all’adattamento ai cambiamenti climatici; investimenti per favorire uno sviluppo a basse emissioni di gas serra, prediligendo la transizione energetica e l’utilizzo di fonti non inquinanti) sono sempre stati rifiutati dal tycoon, che non ha mai riconosciuto la pericolosità del cambiamento climatico.

 

L’uscita dal patto fiscale globale OCSE

Il presidente ha infine ordinato di studiare misure di ritorsione contro i Paesi che applicano prelievi “extraterritoriali” sulle multinazionali a stelle e strisce, sancendo il ritiro degli Usa dal patto fiscale globale dell’OCSE, su cui è stato raggiunto un accodo lo scorso anno, e che consente ad altri Paesi di imporre tasse aggiuntive sulle multinazionali statunitensi.

 

Cosa prevede la global minimum tax

L’accordo sulla global miminum tax è stato firmato in sede Ocse da 137 Paesi nell’ottobre 2021. Si tratta di una normativa che richiede alle multinazionali di pagare un’aliquota fiscale minima del 15% in ogni Paese in cui operano, se tale Paese ha accettato l’introduzione della stessa. Nelle giurisdizioni in cui l’impresa non raggiunge un’aliquota del 15%, si dovrà pagare una tassa aggiuntiva per soddisfare questo minimo. Nel dettaglio, la tassa ha la finalità di evitare che i gruppi societari, che hanno un fatturato consolidato superiore a750 milioni di euro, scontino un livello di imposizione effettiva inferiore al 15% nei Paesi in cui operano, ivi compresa l’Italia.

La sua introduzione non è stata cosa semplice, vista la resistenza di molte capitali che usavano la leva del fisco per attrarre le grandi società. Nel dicembre del 2021 la global minimum tax è stata adottata anche dall’Unione Europea, superando le obiezioni di Paesi come l’Irlanda che prevedeva regimi fiscali agevolati anche a imprese provenienti dai 27 Stati membri. L’Italia ha recepito la direttiva europea con un decreto legislativo nel dicembre del 2023.

Gli altri ordini esecutivi in ambito economico, dalle trivellazioni alle auto elettriche

Questa decisione fa il paio, dal punto di vista economico-fiscale, con la scelta di firmare ordini esecutivi che allentano le regole sulle trivellazioni e sull’estrazione mineraria, eliminando al tempo stesso alcuni incentivi economici alla produzione di energia rinnovabile (nonché alla produzione e vendita di auto elettriche). Trump ha infatti dichiarato un’emergenza energetica nazionale, la prima nella storia del Paese, che nei suoi intenti dovrebbe permettergli di sospendere temporaneamente alcune regole di tutela ambientale o velocizzare il rilascio di permessi per alcuni progetti di estrazione mineraria.

Insomma, al suono di Drill, baby, Drill!, come ripetuto anche ieri sera nel suo primo discorso da presidente in carica, il tycoon ha mostrato al mondo quale sarà il programma economico della seconda amministrazione Trump. E se questo dovesse richiedere l’uscita da altri trattati o accordi internazionali, di certo non si tirerà indietro.

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