Da omicidio colposo a omicidio volontario con dolo eventuale. Questa è la nuova accusa sostenuta dalla Procura di Napoli contro Renato Caiafa, il 19enne accusato di aver maneggiato l’arma che poi sabato scorso ha ucciso a Napoli Arcangelo Correra, di un anno più piccolo. Il dato emerge dalla notifica all’indagato dell’autopsia.
Il 18enne lo avrebbe sfidato a sparare
“Arcangelo lo sfidava a sparare, mostrando il petto… tutti guardavano nella loro direzione e, una volta esploso il colpo, gli avevano urlato ‘cosa hai fatto'”.
Un racconto da brividi quello contenuto nell’ordinanza con la quale il gip di Napoli ha disposto il carcere per Renato Caiafa, nell’ ambito delle indagini sulla morte del 18enne Arcangelo Correa. Agli inquirenti Caiafa riferisce “di essersi reso conto che si trattava di un’arma vera e propria solo al momento dello sparo e, in particolare, allorquando aveva visto il sangue di Arcangelo a terra”.
Sempre secondo il suo racconto “tutto il gruppo di amici con i quali si trovava aveva visto l’arma e che tutti erano consapevoli del gioco che stavano facendo lui e Correra”. In base a questa circostanza quindi, per il giudice, “sarebbero state false tutte le dichiarazioni rese dai giovani sentiti che avevano riferito di non aver visto alcuna arma, anzi, di non aver visto neanche il momento dell’esplosione del colpo”.
App darcangelo Rebibbia id ran-201222-310 (Rainews)
Gip: “Solo chi sapeva dov’era l’arma poteva vederla”
“Solo chi ne avesse conosciuto il posizionamento preciso dell’arma avrebbe potuto vederla”. Lo sostiene la gip Maria Gabriella Iagulli nell’ordinanza con la quale ha disposto il carcere per Renato Caiafa, il 19enne che avrebbe fatto partire “per sbaglio” il colpo di pistola che all’alba dello scorso 9 novembre ha ferito a morte l’amico 18enne Arcangelo Correra, poi morto in ospedale.
A Caiafa viene contestato il porto, la detenzione e la ricettazione dell’arma (per l’omicidio è solo indagato) una calibro 9×21 con la matricola cancellata e un serbatoio maggiorato nel quale c’erano almeno 18 dei 26 colpi che poteva contenere. Un’arma che essendo clandestina e potenziata ha un grande valore di mercato.
A parere del giudice l’arma era nella disponibilità di quel gruppo di ragazzi: è inverosimile per l’autorità giudiziaria la versione del ritrovamento casuale per strada fornita dal 19enne, anche se è credibile l’ipotesi del gioco finito male.
“Nessuno – sostiene il giudice – avrebbe lasciato un’arma carica, considerato il suo valore, per strada alla libera apprensione da parte di terzi… la criminalità tende ad acquisire il possesso di questo tipo di armi… che possono essere usate mille e mille volte ancora proprio perché, in quanto clandestine, sono difficilmente ricollegabili ai delitti commessi e ai loro autori”.
Le esequie di Arcangelo “o’ Piccirillo” si terranno giovedì nella chiesa di Santa Caterina a Formiello, spiegano i manifesti affissi nella zona, che contengono una foto del giovane nel giorno del suo 18esimo compleanno, festeggiato meno di due settimane prima di morire.