Difesa comune non significa solo riarmo per questo a partire dal nome permangono le perplessità dell’Italia, pur senza sconfessare il via libero accordato al vertice straordinario del 6 marzo. Criticità che Giorgia Meloni pone all’attenzione di Ursula von der Leyen soprattutto sul finanziamento delle maggiori spese. Rivendicata dopo mesi di pressing come una vittoria la possibilità di non calcolarle nel rapporto deficit-pil, viene ora considerata dal governo poco conveniente se non pericolosa. Piuttosto che sforare sul debito, appesantendo quello dei singoli stati, si punta invece a ottenere nuovi strumenti realmente comuni e sulla partecipazione dei privati con garanzie per gli imprenditori sul modello dell’InvestEU, come propone Giorgetti incalzato dagli altolà della Lega.

Le altre richieste all’Europa sono il rilancio della competitività e, in tema di immigrazione, discusso con la stessa von der Lyon e gli altri partner che condividono la linea dura, l’accelerazione sulla lista dei paesi d’origine da considerare sicuri e sul nuovo patto che cambia le regole sui rimpatri. Col passare delle ore non si spengono le polemiche sul caso Ventotene, secondo i siti di alcuni quotidiani alla cena con gli europarlamentari di Fratelli d’Italia, Meloni avrebbe irriso l’opposizione parlando di trappola mediatica: “Li ho fatti impazzire, ho toccato un nervo scoperto”. Ricostruzione che, a stretto giro, Palazzo Chigi smentisce, definendola priva di fondamento. Oltre alle polemiche interne anche la presa di distanza della popolare Metsola, presidente del Parlamento europeo, incontrata ieri, “Il manifesto è un pezzo di storia, l’idea dell’Europa federalista è nata lì”.

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