«Disco Boy», incrocio di lingue nel film in cui il ballo si trasforma in fuga dall’inferno- Corriere.it

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di Paolo Mereghetti

Le ambizioni sono evidenti, ma la regia finisce per non controllare a sufficienza la messa in scena

Per affacciarsi alla competizione berlinese, l’Italia ha messo in campo Giacomo Abbruzzese, regista di «Disco Boy», prodotto però a maggioranza francese e con un interprete tedesco, Franz Rogowski, che nel film parla russo e francese. Un incrocio di nazionalità e di lingue che ben si adatta a un film difficile da afferrare, nato dalla fascinazione per la danza classica dove la bellezza nasce da una disciplina assoluta e che sullo schermo si è trasformato nel corpo di un soldato, la cui efficienza nasce appunto dalla disciplina più rigorosa.

Nel film il corpo è quello di un volontario entrato nella legione straniera, l’unico modo che ha il clandestino Aleksei (Rogowski) per trovare un’identità dopo la fuga dalla nativa Bielorussia. Ma quando viene mandato in missione nel Niger e si scontra col leader dei ribelli locali, lui e il film subiscono una mutazione radicale: lo stile naturalistico usato fino ad allora diventa visionario (il corpo a corpo dei due viene filmato con una camera termica, perdendo definizione e guadagnando in astrattezza) per arrivare a una terza parte ancora più onirica.

Le ambizioni sono evidenti: guardare al diverso, al «nemico», come qualcosa di respingente e insieme complice, coinvolgendolo in un ballo (come accade nel finale, con la sorella del ribelle) che è insieme avvicinamento e fuga dall’inferno della realtà. Peccato che la regia finisca per non controllare a sufficienza la messa in scena e si lasci un po’ troppo affascinare dalle sue invenzioni visive, perdendo così lucidità.

19 febbraio 2023 (modifica il 19 febbraio 2023 | 20:55)

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