Stanco, affaticato, confuso, incerto, balbettante: le disastrose immagini di Joe Biden nella notte di Atlanta, durante il primo di due match tv con lo sfidante Donald Trump, non si cancellano dalla mente dello staff presidenziale, degli elettori democratici e soprattutto dagli incerti, quella quota di elettorato che farebbe la differenza nelle elezioni del prossimo 5 novembre. Ma, soprattutto, sono immagini che suonano l’allarme tra analisti, commentatori, politologi e sondaggisti, i quali – sottovoce e a mezza bocca – cominciano a ventilare l’ipotesi più scioccante, un inedito nella storia delle sfide per la Casa Bianca. Vale a dire, che un presidente in carica, vincitore delle primarie e legittimamente in corsa per un secondo mandato a Pennsylvania Avenue, rinunci prima della Convention che sancirebbe ufficialmente la sua candidatura.

 

La First Lady, l’unica che potrebbe convincere il marito a rinunciare

Per farlo, tuttavia, il passaggio preliminare è convincere il diretto interessato, Joe Biden, a farsi da parte. Chi potrebbe farlo? L’impresa non è agevole, molti indicano la moglie Jill, la First Lady, come unico “grillo parlante” che potrebbe riuscire nell’impresa. Finora, consiglieri, collaboratori, staff e i maggiorenti del partito non ci sono riusciti. Ma dopo la performance di ieri sera in Georgia (tra l’altro, uno degli Stati in bilico, che determinano la vittoria), l’ipotesi prende quota.

Ap

Il presidente viene accompagnato fuori dallo studio dalla moglie Jill

Cosa prevede il sistema e le regole del Comitato nazionale del Partito democratico

L’idea di una sostituzione in corsa appare complessa e irta di pericoli per un partito già in difficoltà e in rincorsa nei sondaggi (fino a ieri, Trump è avanti di 4 punti su Biden). Sebbene il partito abbia tecnicamente un sistema per nominare un nuovo candidato alla convention nel caso in cui quello prescelto rifiuti la nomination, l’intero processo appare incerto e non viene preso in considerazione da decenni, fa notare Politico

In base alle regole del Comitato nazionale dem, non esiste un meccanismo che consenta ai vertici di cacciare Biden. Se qualcuno vuole sostituirlo, deve impegnarsi in un processo di nomina alla Convention, fissata per agosto a Chicago. Biden ha ottenuto alle primarie circa il 95% dei quasi 4.000 delegati; questi ultimi si presenteranno con una pledge (cioè, una “promessa” di sostenerlo), che non equivale a un “obbligo”.

La campagna di Biden ha avuto un ruolo nella scelta di questi delegati alle Convention statali in tutto il Paese, per negare la nomination al presidente dovrebbe voltargli le spalle almeno la metà dei delegati. Nel caso in cui Biden accettasse di fare un drammatico passo indietro, rifiutando la candidatura, si aprirebbe un processo imprevedibile e temuto da molti nello stesso partito, per tante ragioni. A cominciare da chi potrebbe o dovrebbe essere il sostituto.

Gavin Newsom, governatore democratico della California AP

Gavin Newsom, governatore democratico della California

Le probabili alternative, da Newsom a Michelle Obama

Tra i nomi più citati si parte da quello della vicepresidente Kamala Harris, che per prassi dovrebbe sostituire il capo della Casa Bianca di fronte a qualsiasi impedimento (come fece Lyndon Johnson alla morte di John Fitzgerald Kennedy, nel 1962). Ma la stella di Harris non ha brillato in questi quattro anni, quindi la sua carta già ora non viene vista come vincente.

Michael M. Santiago/Getty Images

La vicepresidente Kamala Harris

Poi ci sono i governatori della California, Gavin Newsom, il più brillante, forte e competitivo; quella del Michigan, Gretchen Whitmer (una donna, il che non è poco; attenta ai diritti e alla questione aborto, su cui The Donald ieri ha glissato; e soprattutto proveniente da uno Stato-chiave); infine, quello dell’Illinois, J.B. Pritzker, ricco e intraprendente. Ma si sono fatti i nomi anche di Josh Shapiro (di origine ebraica) e dell’afroamericano Wes Moore, del Maryland.

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Gretchen Whitmer, governatrice del Michigan

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J.B. Pritzker, governatore dell’Illinois

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Josh Shapiro, governatore della Pennsylvania

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Wes Moore, governatore del Maryland

È fuori discussione che c’è un nome, tuttavia, che spicca su tutti nelle menti e nei cuori dei democratici: l’ex First Lady Michelle Obama, popolarissima sui social, carismatica e con un appeal e un credito personale invidiabili. Ma, cosa ancor più sintomatica, la moglie dell’ex presidente, primo afroamericano nella storia Usa, è temuta soprattutto a destra come “carta vincente” nel mazzo democratico. Il senatore repubblicano del Texas Ted Cruz ha rilanciato con forza l’opzione Michelle dopo il duello tv della scorsa notte: “Guardando lo straziante spettacolo del dibattito di Biden, credo che le probabilità siano ora superiori all’80% che i democratici scarichino Biden” ha sostenuto Cruz in un post su X. “Nove mesi fa, su Verdict, avevo previsto che i democratici avrebbero sostituito Biden con Michelle Obama. Penso che succederà” ha concluso Cruz.

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L’ex First Lady Michelle Obama

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