“La Commissione si impegna a proteggere le proprie informazioni, il proprio personale e le proprie reti di fronte a qualsiasi possibile minaccia alla sicurezza. Come prassi generale, la Commissione non comunica ulteriormente su questioni di sicurezza operativa”. 

Sul “caso specifico”, “non abbiamo osservato alcuna violazione da parte di droni della no-fly zone sopra il sito Ispra della Commissione né siamo a conoscenza di alcuna specifica minaccia alla sicurezza correlata”. Lo dichiara il portavoce della Commissione Thomas Regnier, interpellato sui sorvoli a Ispra (Varese) di un drone,di sospetta origine russa.

Le indagini della procura di Milano

La Procura di Milano ha aperto un fascicolo con l’ipotesi di di reato di spionaggio politico o militare, aggravato dalla finalità di terrorismo per condotte che “possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un’organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione”, sul caso del drone di sospetta origine russa che, nell’ultimo mese, avrebbe sorvolato per cinque volte la sede del centro di ricerca comune della Commissione europea ad Ispra sul lago Maggiore, a Varese.

Nessuno ha visto quel drone volare, ma i captatori del Joint research centre di Ispra (Varese), che rilevano le onde radio, hanno registrato frequenze associabili come fonte ad un dispositivo di fabbricazione russa. È così, stando a quanto chiarito da fonti investigative, che si è arrivati a parlare di un velivolo di produzione russa, dopo la segnalazione arrivata dallo stesso centro di ricerca della Commissione europea agli inquirenti, il 28 marzo. Da quanto si è saputo in relazione alle indagini condotte dal Ros dei carabinieri, sono stati registrati 5 sorvoli recenti di quel drone e nell’arco in totale di cinque, sei giorni.

Gli investigatori, coordinati dall’aggiunto Eugenio Fusco e dal pm Alessandro Gobbis, si chiedono però perché, nel caso si tratti di una presunta attività di spionaggio, si sia lasciata una sorta di ‘targa’ russa – utilizzando proprio quel tipo di velivolo che lasciava quelle determinate frequenze – e non uno di produzione europea. 

Dunque, è una delle ipotesi sul tavolo, l’obiettivo poteva essere proprio quello di mostrarsi e farsi vedere, per lanciare un segnale sulla capacità di interferire e di violare lo spazio aereo interdetto con facilità. Con i primi accertamenti si sta cercando di ricostruire da dove siano partiti quei voli e dovesi trovasse chi telecomandava il drone.   

Allo stesso tempo si valuta pure la possibilità che alcuni italiani filo-russi, come emerso in un’altra indagine sempre coordinata dal pm Gobbis, possano essersi messi a disposizione per effettuare l’operazione di presunto spionaggio. In quell’indagine, due imprenditori brianzoli si sarebbero messi a disposizione, anche in cambio di criptovalute, per una presunta attività di spionaggio dopo esser stati contattati su Telegram. In quel caso, l’unico “obiettivo” concreto raggiunto dai due sarebbe stato un presunto dossieraggio con pedinamenti su un imprenditore specializzato nel campo dei droni e della sicurezza elettronica e che interessava ai russi. 

Gli altri piani, come quello di installare “dash cam” sui taxi o la “mappatura” di zone delle città, erano rimasti, invece, lettera morta. La segnalazione del drone, riservatissima, è arrivata in Procura il 28 marzo, dopo che il centro di ricerca aveva denunciato gli episodi ai carabinieri di Varese, che hanno poi trasmesso la comunicazione al Ros. I primi ad accorgersi di quei voli sono stati appunto i ricercatori del Jrc di Ispra.

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