Andrea Sempio, all’epoca dei fatti, aveva 19 anni ed era già stato al centro di indagini, tra il 2016 e il 2017, sollecitate da parte dei legali di Stasi per via del Dna ritrovato sotto le unghie di Chiara Poggi. Le accuse nei suoi confronti erano state archiviate dall’allora procura di Pavia, guidata da Mario Venditti, e ora tornano sotto la lente di ingrandimento perchè, secondo il Tg1, a Sempio è stato notificato un nuovo avviso di garanzia grazie ad una nuova indagine sul Dna, sviluppata con metodi e tecniche di ultima generazione. Nell’avviso di garanzia l’accusa contestata, si legge nelle carte in possesso del Tg1, è omicidio in concorso con ignoti o con lo stesso Alberto Stasi “colpendola al capo e al volto con reiterati colpi inferti con un corpo contundente”. 

Il Caso

Era il 13 agosto del 2007 quando Chiara Poggi fu uccisa, a 26 anni, nella sua casa di Garlasco (Pavia) mentre era da sola. Per il delitto, dopo cinque gradi di giudizio, è stato condannato il fidanzato Alberto Stasi, ex studente della Bocconi, che si è sempre professato innocente. 

L’uomo sta scontando una pena a 16 anni di reclusione ma può uscire dal carcere per lavorare ogni giorno.

A febbraio la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva respinto, dichiarandolo “manifestamente infondato”, il ricorso con cui si chiedeva di annullare la sua condanna definitiva.

L’indagato: “Sconvolto e allibito”

“Andrea Sempio è allibito e sconvolto”, ha affermato l’avvocato Massimo Lovati che difende il giovane finito nuovamente sotto i riflettori della Procura di Pavia per il delitto di Chiara Poggi.

Domani Sempio dovrà presentarsi nella sede dei Carabinieri di Milano, nel reparto della Scientifica, per sottoporsi all’esame salivare e al tampone per comparare il suo Dna con quelli trovati sotto le unghie della vittima. Gli esami a Sempio sono stati disposti in modo coattivo dal giudice per le indagini preliminari di Pavia (competente per l’omicidio di Garlasco), dopo che lui aveva negato il proprio consenso. 

Perché 8 anni fa l’ accusa a Sempio fu archiviata

Nell’archiviazione datata 28 marzo 2017, il gip di Pavia, Fabio Lambertucci, scriveva che Andrea Sempio non aveva nulla a che vedere col truce omicidio.

Tre mesi dopo il deposito alla Procura Generale di Milano di un esposto firmato da Elisabetta Ligabò, la mamma di Alberto Stasi, in cui si ipotizzava la presenza del Dna di Sempio sotto le unghie della vittima, il giudice di Pavia impose l’ “alt” a nuove ipotesi: “Se è non condivisibile ma umanamente comprensibile l’intento di fare di tutto per difendersi da una gravissima accusa, anche dopo l’esaurimento dei possibili gradi di giudizio ordinario, nel caso di specie ci si deve tuttavia arrestare di fronte all’inconsistenza degli sforzi profusi dalla difesa di Stasi“. 

Il gip di Pavia scrisse che “è radicalmente priva di attendibilità la consulenza tecnica sul materiale genetico offerto dalla difesa Stasi“. L’analisi di questo materiale, stando alle conclusioni del genetista Pasquale Linarello – a cui si erano rivolti i legali di Stasi – aveva, secondo loro, evidenziato la presenza del Dna di Andrea Sempio sotto le unghie di Chiara. Tuttavia, questa consulenza era per il Gip “viziata ab origine già nella formulazione del quesito laddove pretende di confrontare i risultati di oggi con quelli ottenuti nella perizia De Stefano. Quest’ultimo aveva concluso la propria perizia affermando che, essendo i risultati incostanti, gravati da artefatti conseguenti a possibile degradazione e inserimenti contaminanti, nonché soggetti a probabile contaminazione ambientale, non sono utilizzabili per definire una ‘ipotesi di identità‘, quindi per effettuare alcun confronto con un profilo genetico“. 

La ricostruzione

Era il 13 agosto 2007 e l’orologio aveva da poco segnato le 13.50, quando con una chiamata al 118 comincia il giallo di Garlasco: “Credo che abbiano ucciso una persona, ma non ne sono sicuro… forse è viva. C’è sangue dappertutto e lei è sdraiata per terra” dice al telefono Alberto Stati, fidanzato della vittima”.

La 26enne era riversa sulle scale che conducono alla cantina della villetta di famiglia, dove è stata uccisa, a 26 anni, forse con un martello, ma l’arma de delitto non è mai stata ritrovata.

A terra, vicino al corpo di Chiara, una pozza di sangue: impossibile non sporcarsi, eppure Stati arrivò dai Carabinieri pulito, senza neanche una macchia sotto le suole. Si è pensato che si fosse cambiato prima di presentarsi all’Arma, cosa che lo fece finire immediatamente tra i sospettati.

La versione di Stasi 

Il giovane, che si è sempre professato innocente, raccontò di essere andato nella villetta perché la ragazza, sola a casa dato che genitori e fratello erano in vacanza, non rispondeva al telefono. Possibile che sulle scarpe consegnate 19 ore dopo il ritrovamento del cadavere, o sui tappetini dell’auto guidata per raggiungere i Carabinieri, non ci fosse nessuna traccia di sangue?

In uno dei tanti esperimenti del processo, andato avanti a colpi di perizie, è stato dimostrato che la possibilità che Alberto non calpestasse il sangue di Chiara era pari allo 0,00038 %. 

Il dispenser e la bicicletta di Alberto Stasi

Altro elemento che fu interpretato come un indizio furono le impronte dell’anulare destro di Alberto sul dispenser del sapone nel bagno a piano terra. “Può essere stato utilizzato in qualsiasi momento”, la posizione della difesa. Ma l’accusa invece sostenne che se fosse stato un altro l’assassino, lavando il lavandino per pulirsi le mani dal delitto, questi avrebbe cancellato le impronte di Stasi. 

Inoltre, due testimoni dissero di visto una bicicletta nera da donna appoggiata sul muro della villetta e sui pedali della bici sequestrata a Stasi, vennero trovate tracce del Dna di Chiara. Ciò che non torna è il fatto che la bici di Alberto fosse bordeaux e non nera e che pare che si fosse recato alla villetta in auto. C’è però da sottolineare che la bicicletta boreaux fu sequestrata molto tempo dopo il delitto, per una svista dell’ex maresciallo finito a processo per falsa testimonianza. Quindi i pedali avrebbero persino essere stati scambiati tra le bici.

Il corpo di Chiara 

Tra le mani della ragazza fu trovato un capello castano chiaro, ma senza bulbo, quindi inutile per l’esame del Dna. Sulla spalla di Chiara, invece, le impronte di una mano: quella del killer, verosimilmente, ma cancellate per sbaglio dagli investigatori che girando il corpo lo hanno completamente sporcato di sangue. 

Non ci sono stati poi segni di infrazione e la ragazza deve aver aperto al proprio assassino, lo conosceva: Chiara indossava un pigiama rosa e, come confermato dalla famiglia, non si sarebbe presentata in pigiama ad uno sconosciuto. 

Accusa di detenzione di materiale pedopornografico, l’assoluzione

Una delle questioni che si sollevarono fu il movente: non è mai emerso. Si ipotizzo che fosse il materiale ritenuto pedopornografico sul Pc dove Alberto stava lavorando alla propria tesi di laurea, poi dedicata alla fidanzata: “A Chiara, che qualcuno ha voluto togliermi troppo presto”. 

Nel pc consegnato ai Carabinieri, nella cartella “Militare”, c’erano oltre diecimila foto di minori. Ci si è chiesto se Chiara, vedendo quelle immagini, ne avesse chiesto spiegazioni e da lì sia degenerata la situazione. Dall’accusa di detenzione di materiale pedopornografico Stasi fu assolto e nella sua arringa, l’avvocato dello studente sostenne che quelle immagini “non potessero essere in alcun modo il movente”.

La condanna a Stasi

Dopo 5 processi con sentenze contrastanti e le annullate assoluzioni del 2009 e del 2011, la condannata definitiva per omicidio volontario, con l’esclusione degli aggravanti della crudeltà e della premeditazione, è arrivata nel 2015 con la riduzione di un terzo della pena per rito abbreviato. L’accusa aveva chiesto 30 anni, ma i giudici non hanno riconosciuto al ragazzo le aggravanti e hanno condannato Alberto Stasi a 16 anni di reclusione, senza delineare un movente, ma parlando di un attacco di rabbia.

Stasi oggi

Alberto Stasi ora ha 41 anni e lavora come contabile in un’azienda, uscendo e rientrando ogni giorno dal carcere di Bollate (Milano). Si è impegnato a dare alla famiglia Poggi una quota mensile del proprio stipendio per un minimo di 9mila euro l’anno. La Cedu, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha recentemente dichiarato irricevibile il ricorso presentato da Stasi con cui si chiedeva di annullare la condanna, lamentando la violazione dei suoi diritti in quanto – nel secondo giudizio di appello – non sarebbero stati sentiti un paio testimoni su alcuni argomenti richiesti dalla sua difesa. Ma su questo punto la Cassazione già nel 2018 aveva rigettato un ricorso straordinario. 

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