Eraldo Pecci spegnerà sabato prossimo le candeline, settanta per l’esattezza. “Il numero fa effetto, per la prima volta il compleanno mi dà un po’ fastidio. Però ho letto che più ne festeggi più campi, e allora va bene così». Il solito Eraldo istrione da sempre, sempre con la battuta pronta. Non si smentisce: settant’anni di leggerezza…
«La vita dà tanti pensieri, attraversarla con il sorriso è importante: l’ho sempre fatto e non cambio da vecchio».

Bologna, il debutto

Eraldo Pecci con la maglia del Bologna (Wikipedia)

«Debuttai in Serie A a 18 anni, contro la Juve. Mi ricordo tutto, magari non so che ho mangiato ieri ma di quella partita ho presente ogni attimo. Finì 1-1 con due rigori, fallo mio su Bettega e fallo di Salvadore su di me. Arbitrava Casarin, e sa cosa successe? Bulgarelli o i grandi campioni bianconeri lo mandavano a quel paese e lui si limitava a replicare “stai calmo”, io chiesi una punizione alzando le mani e mi ammonì. Capii che dovevo stare al mio posto».

Eraldo Pecci

Eraldo Pecci (LaPresse)

Qualità tecnica e visione di gioco di altissimo livello, unite a una simpatia che lo hanno reso un’icona, sia da giocatore che da commentatore. Eraldo Pecci, rientra nel novero dei centrocampisti iconici del calcio italiano tra gli anni ’70 e ’80, essendo stato il cervello del Torino che vinse il settimo scudetto della propria storia nella stagione 1975/1976.

Compagno di reparto di Zaccarelli e Patrizio e Claudio Sala, “Piedone”, come venne simpaticamente rinominato dai tifosi granata, era uno di quei giocatori di far davvero “cantare” la palla, smistando spesso palloni decisivi per Pulici e Graziani. Tutto questo poco più che ventenne, alla prima stagione col Torino. Pecci si era distinto con il Bologna, con il quale debuttò in Serie A nel 1972 e con cui vinse anche una Coppa Italia nel 1974, segnando in finale l’ultimo rigore dei felsinei, prima dell’errore di Favalli che costò la sconfitta al Palermo. Pecci aveva 19 anni, ma la sua classe e il suo carisma erano ormai chiari a tutti. Con le sue qualità e la sua conoscenza quasi innata del gioco del calcio, riusciva a decidere il ritmo da imporre alla partita, risultando un ingranaggio fondamentale in tutte le squadre in cui ha giocato

Eraldo Pecci con la fascia di capitano della Fiorentina nel 1984 (Wikipedia)

Dopo Torino, Eraldo, passò alla Fiorentina insieme a “Ciccio” Graziani a causa delle difficoltà economiche delle aziende del patron granata Pianelli. Con i Viola giocò per quattro stagioni, sfiorando lo scudetto nell’81/’82, passando poi al Napoli di Maradona dove giocò una sola stagione, l’85/’86. Dopo un anno alle pendici del Vesuvio, Pecci torna nella squadra che lo ha lanciato, il Bologna. Una decisione di cuore, che comporta scendere di una categoria, in Serie B. Qui, la classe di Eraldo fa ancor di più la differenza, e il suo contributo è fondamentale per riportare i rossoblù in Serie A nel 1988. Dopo un’avventura di fatto mai iniziata con il Vicenza, si ritira nella stagione ’89/’90. Terminata la carriera professionistica, Pecci ha intrapreso una carriera di successo come commentatore sportivo

Poi a Napoli, con Maradona

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Nel 1985 venne ceduto al Napoli. Con i partenopei conquistò un 3º posto in Serie A e realizzò una rete ma, per motivi familiari, decise di ritornare la stagione successiva nella squadra che l’aveva visto nascere calcisticamente, il Bologna. Su Maradona, “chi l’ha conosciuto non può che parlarne bene. Era sempre a disposizione di tutti, specie degli ultimi. All’ultima di campionato, ad Avellino, sapendo di andar via perché volevo avvicinarmi a casa, ringraziai i compagni uno per uno. Lui rispose: “Ringrazio io te per come mi hai insegnato a stare in campo”. Ovviamente non era vero, ma erano le parole del capo vicino all’ultimo uomo, del grande che vuol far sentire il piccolo apprezzato. Abitavamo nello stesso palazzo, ogni tanto lo sfottevo chiedendo se volesse lezioni di palleggio con il destro. Calcisticamente, per me è stato il più grande: nel palazzo dei grandi, lui ha un attico”.

 

 

La passione per la letteratura

Su Camus, “un autore che amo. Ho sempre letto molto, magari non ho capito molto ma ho letto. L’italiano era una delle poche materie che mi piacevano a scuola e ho cominciato a portare libri in ritiro. Adesso sul comodino ho Spinoza”.

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