L’industria dell’arte italiana, pur avendo generato nel 2023 un giro d’affari diretto pari a 1,36 miliardi di euro e un impatto economico complessivo di 3,86 miliardi di euro, sta vivendo una lenta ma preoccupante contrazione. In particolare, negli ultimi anni, le 1.618 gallerie d’arte e i 1.637 antiquari attivi sul territorio nazionale hanno visto diminuire progressivamente il proprio numero e il proprio fatturato reale a causa non solo dell’aumento dei costi operativi, ma anche per via di un sistema fiscale non allineato a quello degli altri Paesi europei e gravato dall’aliquota IVA più elevata a livello comunitario.
È quanto emerge dal secondo Rapporto “Arte: il valore dell’industria in Italia”, promosso dall’Associazione Gruppo Apollo e realizzato da Nomisma in collaborazione con Intesa Sanpaolo, presentato oggi a Palazzo Wedekind, a Roma, alla presenza di Alessandro Giuli, Ministro della Cultura; Roberto Marti, presidente della Commissione Cultura del Senato della Repubblica; Federico Mollicone, presidente della Commissione Cultura della Camera dei deputati; Alessandro Amorese, componente della Commissione Cultura e primo firmatario della proposta di legge per la riduzione dell’IVA, Stefano Lucchini, Group Chief Institutional Affairs and External Communication Officer Intesa Sanpaolo.
Il nodo fiscale, un limite allo sviluppo del settore
In Italia, oggi la cessione di opere d’arte è soggetta all’aliquota ordinaria del 22%, la più alta in Europa. Al contrario, la Francia ha deciso di estendere dal 1° gennaio 2025 il regime agevolato del 5,5% a tutte le transazioni artistiche, incluse le importazioni e le cessioni, e di conseguenza la Germania ha ridotto la propria aliquota al 7%.
Questo significa che per la stessa opera d’arte un collezionista pagherebbe fino al 18% in più acquistandola in Italia piuttosto che in Francia, con il risultato di obbligare da una parte gli operatori italiani a comprimere i propri margini per restare competitivi e dall’altra di indurre i giovani artisti a migrare verso gallerie straniere. Va da sè che questo comporterà gravi danni per tutta la filiera: restauratori, trasportatori, studiosi e i tanti artigiani che tutto il mondo ci invidia.
Per valutare le possibili ripercussioni sul settore, lo studio realizzato da Nomisma ha misurato gli impatti diretti, indiretti e indotti che deriverebbero dalla riduzione dell’IVA sull’importazione in Italia di opere d’arte da Paesi extra-UE. L’indagine ha poi fotografato lo scenario allarmante che deriverebbe dalla mancata applicazione di un’aliquota ridotta anche sulle transazioni interne. Malgrado un effetto moltiplicatore pari a 2,8 (ovvero, per ogni euro di giro d’affari nel mercato dell’arte italiano si generano complessivamente 2,8 euro in termini di impatto economico complessivo) l’industria presenta molteplici elementi di fragilità che non solo ne frenano lo sviluppo, ma ne minano addirittura la sopravvivenza.
Secondo le stime presentate da Nomisma, mantenendo ai livelli attuali l’aliquota IVA il settore potrebbe perdere fino al 28% del fatturato complessivo, con punte del -50% per le piccole gallerie. Al contrario, se l’Italia decidesse di abbassare al 5% l’Iva sulle transazioni artistiche, avvicinandola ai parametri francesi, secondo le simulazioni prodotte da Nomisma in un solo triennio il fatturato complessivo generato da gallerie, antiquari e case d’asta crescerebbe fino a raggiungere circa 1,5 miliardi di euro, con un effetto positivo sull’economia italiana stimato fino a 4,2 miliardi di euro.
Il Gruppo Apollo – che rappresenta l’industria dell’arte in Italia – è pronto a dialogare con il Governo per armonizzare il regime fiscale italiano con quello dei vicini paesi europei e rilanciare così la competitività dell’intero settore.
“Il mercato dell’arte contribuisce in modo significativo alla ricchezza del nostro Paese – ha dichiarato Alessandra Di Castro, presidente del Gruppo Apollo – Tuttavia dobbiamo riconoscere che siamo ancora lontani dal nostro pieno potenziale. Se abbassassimo l’aliquota Iva al 5%, quindi ancora meno della Francia, l’Italia potrebbe acquisire la posizione di hub per le operazioni di compravendita. Ciò permetterebbe, al tempo stesso, di salvaguardare l’intero ecosistema della cultura, valorizzando tutti i protagonisti”.
“Indubbiamente il differente regime fiscale rappresenta un problema reale, con il rischio che il sistema dell’arte italiano perda progressivamente di competitività, impoverendo strutturalmente e perdendo operatori, artisti, competenze e prospettive – ha commentato Roberta Gabrielli, responsabile Marketing di Nomisma – Non si tratta solo di proteggere un settore economico, ma di difendere un presidio culturale fondamentale per l’identità del nostro Paese”.
Giuli: “L’aliquota verrà abbassata”
“L’aliquota Iva verrà abbassata. Il Ministero dell’Economia è d’accordo con noi, le coperture verranno trovate”, ha detto il Ministro della Cultura, Alessandro Giuli, intervenendo, a Palazzo Wedekind, alla presentazione del Rapporto “Arte: il valore dell’industria in Italia”, promosso dall’Associazione Gruppo Apollo e realizzato da Nomisma.
“La riduzione del regime fiscale è una battaglia storica che l’attuale governo ha ingaggiato da tempo perché è evidente che l’Italia rappresenta un’eccellenza, non solo dal punto di vista del patrimonio ma anche della dinamicità – ha spiegato Giuli -. Oggi siamo a un bivio che rischia di diventare un punto di non ritorno. Per cui posso dire senza indugio che siamo vicini a ottenere quel risultato che tutto il settore del mercato dell’arte sta aspettando da tempo”.