L’attore protagonista della nuova serie «Il clandestino», prossimamente su Rai1
Giacca di pelle, sguardo corrucciato, niente sorrisi. Quello che con ogni probabilità si appresta ad affiancare illustri commissari, ispettori e preti nella squadra dei personaggi più amati delle serie tv, non è un compagnone. Eppure è quello che ha convinto Edoardo Leo a buttarsi nella lunga serialità. Sarà suo il volto di Luca Travaglia, ex ispettore capo della Digos che ha lasciato la polizia dopo un attentato di cui si sente responsabile. La sua necessità di cambiare vita, lo porterà a lasciare Roma per Milano, città che è quasi un’altra protagonista de Il clandestino, prossimamente su Rai1. Un luogo cosmopolita, dove Travaglia (nomen omen) aprirà la sua agenzia investigativa assieme a Palitha (Hassani Shapi), un collega cingalese.
«Non avevo nessuna intenzione di cimentarmi nella lunga serialità, soprattutto per via degli altri impegni che ho — spiega Leo — . La verità è che prima, quando mi era stato proposto, non mi era mai scattata la scintilla come invece è successo in questo caso». Merito di un personaggio lontano dai soliti canoni: «È un regalo per un attore un ruolo così — riprende —. Ha un dolore dentro che implica una sfida: bisogna rendere simpatico un cinico. È uno che parla poco, indurito dalla vita, che ha avuto un danno sentimentale: è stato tradito dalla donna che amava. Combatteva il terrorismo ma il nemico l’aveva dentro casa e poi è diventato sé stesso. Alla fine a Travaglia vuoi bene non perché è simpatico ma perché è una persona che soffre». Tutti elementi che, contrariamente alla prudenza che di solito accompagna i debutti, spingono l’attore a sbilanciarsi: «Io credo fortemente che Travaglia possa diventare un personaggio iconico. Una specie di Clint Eastwood italiano. Mi ha fatto venire voglia di fermarmi e fare solo questo per sei mesi. Lui parla cinque lingue, fa arti marziali, non ha paura di niente: è una specie di macchina ma ha una grande fragilità dentro. Secondo me la gente vorrà bene a questo personaggio, che aiuta gli altri ma apparentemente senza empatia. Con il mio socio, Hassani Shapi, sembriamo a tratti Bud Spencer e Terence Hill».
A dirigere la serie («anche se si tratta quasi di dodici mini film»), un amico fraterno dell’attore, Rolando Ravello. Anche lui convinto da un progetto distante dai cliché. «Siamo al limite di quello che si può fare su Rai 1, consci di esserlo. Il nostro non è un personaggio accomodante: nel primo episodio affoga i suoi dolori nell’alcol, ha una ferita aperta che continua a sanguinare e che si riparerà grazie a chi non ti aspetti, gli ultimi». Ogni episodio si concentrerà su una comunità etnica differente: sono loro i clienti di Travaglia. «La sua vita ricomincia occupandosi delle persone di cui non si occupa nessuno: scopre una umanità che prima non conosceva. Crediamo sia un bel messaggio, anche per il pubblico di Rai1. È un romanzo di rinascita completo».
Ecco perché Milano diventa fondamentale, come conferma la produttrice Paola Lucisano: «Milano si presta ad essere una città internazionale, una città del futuro: ho subito creduto nell’importanza che la serie fosse ambientata qui, nonostante sia un posto carissimo. È un progetto in cui crediamo fortemente e a cui lavoriamo da anni: ci siamo concentrati sull’idea iniziale di Renato Sannio, creando una robusta struttura». L’asupicio è che quella che verrà sia la prima stagione di molte. «Stiamo a vedere — riprende Leo —, ma se piacerà l’idea è quella. Non sono un grande fan dell’immedesimazione ma ammetto che in questi mesi di set mi sto travaglizzando: ho preso casa a Milano, volutamente non sto in albergo, faccio vita milanese. Sto spesso da solo. Compiuti i 50 anni, il cinismo inizia un po’ ad arrivare: ho sviluppato una vera idiosincrasia verso la retorica, ad esempio. Non mi riesco più a frenare di fronte a quelli che hanno una opinione su qualsiasi cosa».
Interpretare un personaggio così, quindi, è anche uno sfogo: «Sono felice perché fino ad ora ho fatto prevalentemente commedie: con piacere, ma a volte è pure un po’frustrante. Fare una serie con un personaggio così doloroso mi permette di mostrare anche la mia anima più buia: questa serie mi ha rimesso in pace con il mio mestiere, andando oltre i soliti registri». Molte delle storie raccontate prendono spunto da fatti di cronaca realmente accaduti: «C’è stato un grande lavoro di documentazione — conclude Ravello —. Si è alzata molto l’asticella della lunga serialità nel mondo e questo non è un contenuto pensato per morire nella nostra provincia. È un prodotto esportabile: questo ci rende particolarmente orgogliosi».
5 marzo 2023 (modifica il 5 marzo 2023 | 20:59)
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