il padre della bomba atomica e la logica pura di Nolan (voto 9)- Corriere.it

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di Paolo Mereghetti

«Oppenheimer» è un film assolutamente da vedere, la cui forza nasce soprattutto dalla fluidità con cui la sceneggiatura del regista racconta i vari momenti della vita del fisico americano

Si tratti di vendicatori mascherati o agenti della Cia, soldati semplici o astronauti, i personaggi che affascinano Nolan devono fare i conti col fatto che la loro superiorità intellettuale è frenata da qualche inconfessato segreto, e insieme misurarsi con la complessità di un mondo ostile che sembra indecifrabile, attraversato da una violenza opaca e difficilmente governabile, per affrontare la quale si può anche arrivare al sacrificio o a una rinuncia prima impensata.

Per questo l’incontro con Julius Robert Opennheimer, il fisico che gli Stati Uniti misero a capo del Progetto Manhattan a Los Alamos per anticipare i nazisti nella costruzione della bomba atomica, doveva prima o poi arrivare: genio precoce della fisica quantistica, insofferente ai controlli almeno quanto narciso e volubile, sicuro della propria intelligenza e testardo nel difendere le proprie convinzioni (anche politiche, negli anni Trenta vicino al partito comunista), era l’anti-eroe perfetto per raccontare quell’intreccio tra leggi della Natura e scelte della Storia che spesso ha affascinato il regista (e che in «Inception» o «Tenet» aveva avuto due esempi da manuale).

Ma il fascino e la forza del film «Oppenheimer»
va al di là della scelta del soggetto e nasce soprattutto dalla fluidità con cui la sceneggiatura del regista racconta i vari momenti della vita dello scienziato (Cillian Murphy), dove si intrecciano in un primo momento gli studi e la direzione dell’equipe raccolta a Los Alamos, quindi i dubbi morali sull’armamento atomico e l’indagine riservata del 1954 sulla sua presunta infedeltà patriottica e infine – terzo blocco – la successiva inchiesta pubblica che vide coinvolto l’ambizioso politico Lewis Strauss (Robert Downey jr) chiamato a spiegare perché dopo la guerra avesse voluto Oppenheimer nella Commissione per l’energia atomica pur conoscendo le sue giovanili simpatie politiche e la sua avversione allo sviluppo di una bomba a idrogeno.

I 181 minuti del film non seguono l’andamento cronologico dei fatti ma saltano avanti e indietro negli anni, alternando il colore (per i primi due blocchi narrativi) con il bianco e nero del terzo (probabilmente perché è stata la televisione, ai tempi in bianco e nero, a tramandarcelo) senza che però mai la fluidità del racconto ne abbia a soffrire. Rispetto ad altri film che usano lo stesso meccanismo per ricostruire un fatto storico (un esempio su tutti «JFK» diretto da Oliver Stone), Nolan sembra farsi un punto d’onore nell’evitare qualsiasi possibile asperità narrativa: le scene non sono inanellate per arrivare alla spiegazione di una qualche tesi (Oppenheimer era buono o cattivo, fedele o infedele) ma si inseguono per aiutare a capire quello che è appena stato mostrato, come se un «narratore superiore» (e Nolan vuole esserlo) mettesse ogni volta a disposizione le scene che possono aiutare a comprendere meglio quello che abbiamo appena visto.

Il cinema di Nolan è logica allo stato puro, come insegnava la regola aurea del cinema classico d’antan
(ogni cosa che viene mostrata è necessaria alla comprensione del film) e per questo la durata non pesa, perché tutto qui è davvero funzionale ed essenziale ad accompagnare lo spettatore dentro le complessità e le contraddizioni di quell’uomo fuori dal comune che fu il «padre della bomba atomica» (per citare la celebre copertina del settimanale americano «Time»).

E così, procedendo per analogie e consequenzialità, il film ci fa capire la sfida del Progetto Manhattan voluto dal generale Groves (Matt Damon), i dubbi e le angosce di un uomo che non vuole ragionare con le opinioni interessate della politica (esemplare l’incontro col presidente Truman, ammirabile cameo di Gary Oldman), le meschinità di certuni e le invidie di altri, la sua voglia di non tradire gli amici (il cosiddetto «affare Chevalier»), i controversi rapporti con la moglie (Emily Blunt) e l’amante (Florence Pugh) e soprattutto quell’idea di dover fare i conti con la Morte, con la capacità dell’uomo di creare e distruggere, che attraversa tutte le scene e che è il vero messaggio di un film assolutamente da vedere.

21 agosto 2023 (modifica il 21 agosto 2023 | 09:17)

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