Muhammad Yunus: “Il mondo ha bisogno di un leader di pensiero come Papa Francesco che ha dedicato la sua vita a costruire la pace e a mettere insieme gli esseri umani al di là del loro credo religioso”.
Il banchiere dei poveri e il papa degli ultimi. Quello che univa Bergoglio a Yunus era la lotta alle diseguaglianze, agire per uno sviluppo che parte dal basso e creare un mondo più equo.
Yunus: “Avevamo un bel rapporto di amicizia. Ammirava quello che faccio. Voleva saperne di più per capire come il microcredito tocca la vita della gente e ne abbiamo parlato molte volte”.
Per l’ultimo saluto a Papa Francesco, Yunus è venuto dall’altra parte del mondo, perché dallo scorso agosto guida il governo di transizione del suo paese, il Bangladesh, dove il 90 per cento della popolazione è musulmana e dove Bergoglio è andato nel 2017. Nel viaggio apostolico ha incontrato i rifugiati Rohingya, la minoranza islamica perseguitata in Myanmar.
A San Pietro Yunus sedeva tra i potenti del mondo, lui che per tutta la vita, compirà 85 anni a giugno, si è impegnato a fare uscire dalla povertà i più deboli. Quelli a cui le banche tradizionali non danno credito. Il suo modello alternativo ha funzionato in tutto il mondo e per questo ha ricevuto il Nobel per la pace nel 2006. Nei mesi scorsi la diocesi di Roma ha iniziato ad applicarlo per i giovani delle periferie. E’ il “Pope Francis Yunus 3Zero club”.
Yunus: “Sono rimasto molto sorpreso perché ha perfino creato un programma con i nostri nomi uno accanto all’altro. Non immaginavo che un Papa potesse mettere il nome di una persona comune come sono io vicino al suo per intitolare un progetto. Questo dimostra quanto credesse nelle idee che promuovo e spero che il progetto vada avanti”.
E spiega questo modello dei tre zeri che piaceva così tanto a Papa Francesco: “Creare un mondo a 3 zeri vuol dire: zero emissioni di anidride carbonica, zero concentrazione di ricchezza perché è la causa della distruzione del mondo, è una cosa terribile, non capiamo che tutto il sistema collassa a causa della concentrazione di ricchezza e zero disoccupazione, queste sono le questioni critiche e lui ha capito le basi di questo ragionamento”.
Ma parla anche del suo Bangladesh dopo la rivolta degli studenti che è riuscita a far cadere l’estate scorsa il regime di Sheik Asina: “Studenti, giovani, lavoratori, hanno dato la vita. Sono stati attaccati dal precedente governo, sono stati uccisi per strada. Ci sono stati 1400 morti e migliaia di feriti e alla fine il governo è dovuto fuggire dal paese. In quel momento gli studenti mi hanno chiamato, io ero a Parigi. Non volevo essere coinvolto anche se ammiravo quello che erano riusciti a fare. Dopo tre giorni di insistenza da parte loro ho accettato. Loro si erano sacrificati e io potevo superare le mie personali resistenze. Ho accettato e sono tornato nel mio paese dove abbiamo formato un governo a interim. Il nostro compito è di rimettere in ordine la società e l’economia perché c’era il caos, era collassato tutto il sistema bancario e istituzionale. Ora il Paese è di nuovo in piedi”.
Resta il nodo delle prime elezioni democratiche dopo 15 anni di regime autoritario, in un paese con un elevato tasso di povertà: “Abbiamo 15 commissioni per le riforme, dalla sanità al sistema elettorale. Le loro raccomandazioni vengono discusse con i partiti politici e quando avremo trovato l’accorso, tutto confluirà nella “Carta di luglio”. Poi faremo le elezioni, speriamo tra dicembre e giugno dell’anno prossimo”.