Il Tribunale di Bologna ha rinviato alla Corte di Giustizia Ue il nuovo decreto legge sui ‘Paesi sicuri’ approvato recentemente dal governo, ponendo ai giudici europei il quesito su quali norme vanno applicate per definire il paese di provenienza di un migrante come ‘sicuro’. Secondo i giudici di Bologna i criteri usati dal governo contrasterebbero con il diritto europeo e quindi questo potrebbe condurre a una disapplicazione delle norme del decreto.
I giudici bolognesi hanno assunto questa decisione trovandosi a procedere sul ricorso di un cittadino del Bangladesh a cui era stata negata la protezione internazionale. La Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Bologna aveva infatti dichiarato la richiesta del cittadino bengalese come manifestamente infondata, in ragione della sua provenienza da “paese di origine sicuro” e della “ravvisata mancata indicazione di gravi motivi per ritenere che quel Paese non è sicuro per la situazione particolare in cui lo stesso richiedente si trova”.
Contestualmente i giudici hanno chiesto alla Corte di Giustizia Ue se “sussista sempre l’obbligo per il giudice nazionale di non applicare” le disposizioni nazionali in caso di contrasto con la direttiva europea 32/2013, che riguarda le procedure comuni “ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione.
In sostanza, con la decisione odierna i giudici di Bologna chiedono alla corte Ue se debba prevalere la normativa comunitaria oppure la legislazione italiana, anche dopo che con il recente decreto sui ‘paesi sicuri’, il governo italiano è intervenuto per definire con una norma primaria ciò che fino a poche settimane prima era definito da un decreto interministeriale (norma secondaria), con l’obiettivo di rendere operativi i centri di identificazione in Albania.
Presidente Tribunale di Bologna: “Serve uniforme applicazione del diritto Ue”
“Il rinvio proposto è volto a ottenere, con la richiesta di procedura d’urgenza, l’uniforme e stabile interpretazione del diritto dell’Unione da parte degli organi giurisdizionali e di tutte le articolazioni dello Stato, tenute all’osservanza del diritto dell’Unione europea secondo l’interpretazione vincolante della Corte di Giustizia europea”, ha dichiarato Pasquale Liccardo, presidente del tribunale di Bologna, spiegando il rinvio del tribunale alla Corte europea.
La definizione di “Paese sicuro”, al centro del quesito posto alla Corte Ue
Il lungo quesito inviato dal Tribunale di Bologna alla Corte di Bruxelles si fonda sulla definizione di “paese sicuro”, che tante polemiche aveva suscitato dopo che il tribunale di Roma aveva ordinato di far rientrare in Italia dodici migranti che inizialmente erano stati inviati nel centro per richiedenti asilo contruito dal nostro Paese in Albania.
Tribunale di Bologna: protezione internazionale è per le minoranze perseguitate, “Germania nazista era estremamente sicura per la maggioranza”
Interrogando la corte Ue i giudici di Bologna entrano anche nel merito del decreto e contestano il principio per cui potrebbe definirsi sicuro un Paese in cui la generalità, o maggioranza, della popolazione viva in condizioni di sicurezza, visto che il sistema di protezione internazionale si rivolge in particolare alle minoranze minacciate e perseguitate. Affermando questo, portano ad esempio anche il caso paradossale della Germania nazista, che dicono, era estremamente sicura per la stragrande maggioranza dei suoi cittadini, ad eccezione però di alcune piccole minoranze come quelle degli ebrei, degli omosessuali, oppositori politici e rom.
Lo spirito del decreto, suggerisce il tribunale, avrebbe quindi il carattere di “un atto politico, determinato da superiori esigenze di governo del fenomeno migratorio e di difesa dei confini, prescindendo dalle informazioni e dai giudizi espressi dai competenti uffici ministeriali in ordine alle condizioni di sicurezza del Paese designato“.