“Sono al mio secondo ciclo di chemio, sto curando un linfoma di Hodgkin e cerco sempre di stare molto attenta”. Julia Cervini ha 17 anni, gli occhi scuri e vivaci, frequenta il quarto liceo scientifico a Roma. Sta curando con pazienza e determinazione la sua malattia e cerca di essere sempre molto attenta. Sa benissimo che in questo momento le sue difese immunitarie sono deficitarie, a causa della chemioterapia, ma non vuole rinunciare alla scuola e a tutte quelle altre attività extra così importanti per una ragazza della sua età. Per questo si protegge: la mascherina per lei è necessaria, proprio per evitare di incorrere in qualche virus che su di lei potrebbe avere effetti tutt’altro che banali.

 

 

Oggi era in ospedale, soliti controlli di routine e analisi. Dopo il prelievo è andata al bar per un cappuccino. Indossava la sua inseparabile mascherina, e con lei anche sua madre. Ha chiesto un cappuccino: ma il barista per tutta risposta gli ha chiesto di togliere la mascherina. “Non capisco cosa mi chiedi con la mascherina davanti alla bocca, levala”. Avrebbe detto. Julia ha tenuto il punto: “Ma vedevo che non mi serviva, così è dovuta intervenire mia madre: ha tolto la sua mascherina e ha fatto l’ordinazione. A quel punto ho avuto il mio cappuccino”.

Julia ha scritto una mail alla direzione dell’ospedale romano il cui testo è simile a quello postato sui social. “Non voglio che si prendano provvedimenti contro questa persona, assolutamente – ci spiega – ma vorrei solo che capisse che non è un mio vezzo portare questa mascherina. Ma in questa fase della terapia è una necessità che mi salva a vita”. Julia fa fatica a comprendere le ragioni di questo atteggiamento, soprattutto dentro un ospedale. “Probabilmente avrò a ricordato a qualcuno i tempi bui del Covid, ma vorrei fare capire che non mi diverto a portare questa mascherina. Non vedo l’ora di levarla, ma per ora è importante che la indossi”  

 

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