«Sul set litigavamo, era ossessivo e maniacale, anche se aver lavorato con lui è stata una fortuna. Nella scena dello stupro cantavo Singin’ in the rain, conobbi Gene Kelly e non mi volle dare la mano. Sono pacifista e vorrei fare un film sui vampiri»
«Quel ruolo mi ha fottuto», dice Malcolm McDowell. L’attore britannico a giugno compie 80 anni, e 50 li compie il film che ha segnato la sua vita: Arancia Meccanica di Stanley Kubrick, il maestro con cui lui, turbando i nostri sonni, ci ha fatto conoscere l’indimenticabile Alex, il teppista perso nella violenza cieca. Con Kubrick, McDowell ha avuto un rapporto «controverso». Vuota il sacco con i suoi toni dissacranti.
«Quando litigavamo volavano parolacce tra noi. Aveva delle richieste maniacali, delle vere ossessioni sul set. Sono stato fregato, ero un giovane attore che ha dovuto promuovere gratuitamente il film. Stanley mi ha imbrogliato, facendomi firmare una carta in cui c’era scritto che avrei rinunciato al 2,5 percento degli incassi. All’anteprima, sui credits, vedevo il suo nome dappertutto, Kubrick di qua, Kubrick di là, tanto che mi chiesi stupefatto, ehi, non c’è nessun altro che ha fatto questo film?».
«Anzitutto mi parlò dell’interpretazione. La voleva con uno stile esagerato, essendo senza morale avrei dovuto renderlo simpatico. La stampa liberal, come il New York Times, ci accusò di essere fascisti, di aver reso divertente il mio personaggio».
Ci sono scene che restano incollate, Alex che irrompe con i drughi in casa dello scrittore e di sua moglie.
«Non riuscivano a venire a capo della scena dello stupro alla donna e della violenza al marito. Io aspettavo di capire come avremmo dovuto girarla. Dopo cinque giorni Stanley mi chiese a bruciapelo: Can you dance?, Sai ballare? No, gli risposi, ma cominciai a muovermi canticchiando Singin’ in the rain (Cantando sotto la pioggia). Il film di Gene Kelly mi diede una specie di strana euforia, cantavo in modo e naturale. Stanley fece un gesto come a dire, abbiamo trovato la quadra. Un anno dopo l’uscita, a Los Angeles, mi invitarono a una festa con la vecchia Hollywood. C’era anche Gene Kelly, lui girò i tacchi e se ne andò senza darmi la mano. All’amico che me lo aveva presentato dissi, devo chiedergli scusa di qualcosa? No, rispose, solo che gli hai rovinato la scena più famosa della sua carriera, sporcando il suo ballo gaio e festoso. Okay, dissi, però in Arancia meccanica funzionava».
Altri aneddoti così belli?
«La scena sul letto d’ospedale, quando il ministro degli Interni accorre per vedere i miei progressi dalla folle violenza di cui ero stato prigioniero, e vuole imboccarmi…Stanley era ansioso, stava sulle spine. Io per velocizzare le cose pensai di aprire meccanicamente la bocca, di spalancarla in maniera ossessiva mentre mi davano da mangiare pezzi di bistecca uno dopo l‘altro. Stanley rideva, io masticavo, e ho capito che non avrebbe seguito la sceneggiatura in quella scena».
Tra politically correct e cancel culture, sarebbe possibile girare Arancia meccanica?
«E’ difficile dirlo, ma nemmeno allora se non ci fosse stato Stanley dubito che le major avrebbero finanziato un film del genere, per quanto non risultò così costoso».
«Il sangue gratuito al cinema, non mi piacciono i film horror, anche se ne ho fatti uno o due. Poi sono disturbato da quello che succede nel baluardo della democrazia, gli Stati Uniti. L’America è stata infettata e soggiogata da un idiota che si chiama Trump. Un uomo egocentrico e narcisista che si crede un semi dio mentre è un cretino. A un ricevimento chiesi al padrone di casa di non metterlo vicino. Ha molti followers. L’America non aveva mai corso il pericolo di stabilità. C’era sempre stato un pacifico trasferimento di poteri dettato dalle urne. Ora Trump sta perdendo consensi, ma ci ha mostrato quanto sia radicato il razzismo in America».
Lei, che in gioventù ha interpretato la violenza più scatenata, nella vita è un pacifista.
«Mi ritengo un uomo di buon senso. In America non bandiscono le armi, basterebbe un voto al Parlamento. La National Rifle Association ha un potere enorme, è una lobby corrotta che invoca il secondo emendamento sull’uso delle armi, ma quello fu istituito nel 1776 e aveva come unico scopo quello di liberarsi degli inglesi».
«Sono soddisfatto perché non ho mai voluto fare film di cassetta che portassero dollaroni, anche se ho partecipato a Star Trek e ho avuto l’onore di uccidere Kirk, così ce ne siamo liberati. La vita di un attore è fatta di alti e bassi e dopo che mi separai da mia moglie non volli tornare in Inghilterra perché i nostri figli erano piccoli, sono rimasto in USA per fare il papà. Gli Anni 80 non sono buoni per me. Gli attori sono falsi idoli, magari ti attaccano per colpe non tue, se un attore dà una buona prova in un brutto film nessuno lo capisce».
«Ne avevo uno, lo sto realizzando. Non avevo ancora mai girato un film western, esperienza che qualunque attore prima o poi deve fare. In The Last Train to Fortune sono un maestro elementare caduto in disgrazia, viene espulso dalla scuola in Inghilterra e va in USA, prende un treno ma perde la coincidenza e si ritrova in un capannone abbandonato in mezzo al nulla dove incontra un cowboy armato che si offre di accompagnarlo nel suo viaggio. Poi vorrei fare un film sui vampiri».
Gli incontri della sua vita, a parte Kubrick?
«Ma sono stato fortunato a lavorare con lui, era un genio dal carattere impossibile, Matthew Modine mi raccontò che stava nascendo suo figlio, chiese un breve permesso durante le riprese di Full Metal Jacket, Stanley glielò negò: se vedi tuo figlio qualche giorno dopo il parto di tua moglie, cosa ti cambia? Sono stato soprattutto fortunato ad avere incontrato Lindsay Anderson».
Quando l’ha conosciuto?
«Recitavo per il Royal Court Theatre a una moderna versione della Dodicesima notte di Shakespeare, terribile, in costumi contemporanei. Pretenziosa, la definì lui. Mi spinse a spettegolare su quella illustre compagnia, improvvisamente mi disse: lo sai che sono io il direttore? Un genio che mi ha insegnato ad amare la vita e la recitazione. Il suo film If era un colpo all’establishment britannico. Era un uomo bassino con un piglio combattivo e lo sguardo penetrante».
2001 Odissea nello spazio?
«Altro film leggendario, d
istrutto dalla critica USA, dissero che tre quarti d’ora senza un dialogo era mer…Non ne colsero lo spirito rivoluzionario. Allora si ebbe l’intuito di cambiare campagna promozionale, mostrando nel manifesto il feto di un bambino con la scritta L’ultimo viaggio, che convinse gli strafatti americani ad andare a vedere il film. Si rivolse alla controcultura incarnata da riviste come The Village Voice, attivò la stampa alternativa. Così cominciò il lungo cammino trionfale di quel film».
6 maggio 2023 (modifica il 8 maggio 2023 | 11:11)
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