«La mia prima regia? Per le donne che nessuno ha celebrato»- Corriere.it

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di Stefania Ulivi

L’attrice presenta l’opera prima «C’è ancora domani» con Valerio Mastandrea, Emanuela Fanelli e Vinicio Marchioni: «Un po’ dramma e un po’ commedia»

Di donne come Delia, la protagonista del suo esordio alla regia C’è ancora domani, ambientato nella Roma della primavera 1946, il film di apertura della XVIII Festa del cinema di Roma, Paola Cortellesi ne ha conosciute molte. «Le ho scoperte nei racconti delle nonne. Donne che nell’immediato dopoguerra hanno costruito il tessuto sociale del nostro paese ma non sono mai state celebrate. Tante Cenerentole che sono sempre state considerate e si sono considerate per prime delle nullità. Era un’epoca in cui in ambienti popolari come il cortile di Testaccio in cui ho girato, non c’era la consapevolezza delle discriminazioni, né violenze che subivano».
Da cosa è nata la scelta di passare dall’altro lato della cinepresa, dalla sue esperienza di attrice?

«No.Quando recito il mio unico scrupolo è essere parte di una storia bella. Il desiderio di dirigere nasce piuttosto dal mio lavoro di sceneggiatrice. Me lo avevano proposto anni fa, e ne sentivo l’esigenza. L’ho scritto con Furio Andreotti e Giulia Calenda, i miei inseparabili compagni di viaggio».

Lei interpreta Delia, madre di tre figli, in balia di un marito ottuso e violento, Ivano (Mastandrea) un suocero prepotente (Ottorino, Giorgio Colangeli) a cui fa da badante, che sembra accettare la sua vita così com’è?

«Ho un pallino, diciamo pure un tarlo, che sono i diritti femminili. Racconto un momento in cui non erano ancora riconosciuti, in un passato che fa parte dei racconti degli anziani della mia famiglia. I racconti di cortile, di chi si menava, chi non aveva da mangiare, cose drammatiche raccontate con leggerezza e quella disillusione molto romana che mi piaceva mettere in scena. Quei racconti li ricordo in bianco e nero, mescolati ai film di quell’epoca».

In cui spesso era protagonista Anna Magnani. È un omaggio, così come la scelta del bianco e nero?

«Non sono citazioni ma da quel mondo non si può prescindere. Anche nelle ambientazioni. La casa in cui vivono, che abbiamo ricostruito con la scenografa Paola Comencini a Cinecittà, somiglia a quella di Bellissima. Ma il film non è un mio omaggio al neorealismo. È tutto un imbroglio…. Vado nel passato per raccontare una condizione femminile che non è più cosi ma conserva dei retaggi culturali, pericolosamente vivi e vividi oggi. Diciamo: un film contemporaneo ambientato negli anni 40 del Novecento».

Ha riempito il cast di persone a cui è molto legata: Valerio Mastandrea, Emanuela Fanelli, Vinicio Marchioni.
«È un’opera prima, avevo le idee molto chiare ma avevo bisogno di un supporto familiare. Il cast è fatto di persone con cui ho una confidenza tale che mi ha consentito approccio meno timido».

Loro la descrivono come una regista tosta.

«So quello che voglio, conoscevo ogni inquadratura fin dalla sceneggiatura . Sapevo bene cosa volevo ottenere. Ma ho chiesto tre settimane di prove teatrale per mettere a punto le interpretazioni, i personaggi».

Delia ha un marito che la picchia e un suocero che lo esorta a farlo (ma non sempre «se no poi si abitua»…). Però le scene violente sono risolte con una sorta di coreografia. Perché?

«Non ho avuto paura di mostrare le botte vere, un regista di action lo avrebbe fatto con scene forti e sangue ma più che le conseguenze fisiche volevo sottolineare quelle psicologiche di una violenza sistematica, quotidiana. Di fronte a cui lei si difende abituandosi («riparte il balletto»). Il livido c’è ma poi scompare, come se niente fosse. E questa è la cosa più grave, perché indica la normalità della violenza. Mi sembrava più forte così. Abbiamo studiato la psicologia dell’abuso domestico, il punto di partenza era svilire le donne. ».

Descrive uomini ottusi.

«Valerio è stato generoso a accettare di interpretare questo individuo infame che non è l’orco che ce lo ha scritto in fronte, che riconosci. Questo è un tipo normale, un idiota. Meglio non fare l’apologia del cattivo ma mostrare la sua idiozia, per poterlo deridere. Non è un film contro gli uomini ma contro le gabbie sociali e culturali in cui ti mettono».

Si ride anche molto, il tono del film, in sala dal 26 ottobre, è a cavallo tra dramma e commedia.

«Il doppio registro è il linguaggio che conosco meglio. E questo sì c’era in quei film che tanto abbiamo amato. Spero che il pubblico si diverta, se lo goda. E che nessuno sveli prima del tempo il finale, legato a una misteriosa lettera che Delia riceve».

Ci ha preso gusto: presto una nuova regia?

«Farei subito il terzo, così salto il giudizio sul secondo».

18 ottobre 2023 (modifica il 18 ottobre 2023 | 20:13)

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