«La vita bugiarda degli adulti», Napoli si guarda allo specchio in una bella serie con un’unica pecca (voto 7)- Corriere.it

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di Maurizio Porro

Nei sei episodi tratti dal libro di Elena Ferrante vendette di famiglia tra citt borghese e citt proletaria. Col difetto delle voci in presa diretta, difficili da capire

Continua la saga verace dei romanzi di Elena Ferrante per la grande platea televisiva che scopre cos anche giovani volti di attrici. Dopo il debutto con “L’amore molesto” di Martone, dopo le felici stagioni dell’“Amica geniale” (con due bravissime interpreti, la Mazzucco gi s’ vista altrove) dopo il film inglese ambientato in Grecia senza pi alcuna particella di napoletanit nell’anima, ecco su Netflix, con un buon successo, sei episodi del libro “La vita bugiarda degli adulti”, pubblicato come sempre da e/o.

Ed ancora uno squarcio di Napoli ma negli anni ‘90 non pi nel flash back degli anni 50 e 60, una Napoli che vive due volte, che va dal Vomero a Posillipo e dove il ritratto della protagonista ha quasi una duplice valenza: Giovanna passa dall’infanzia all’adolescenza, sempre in un riferimento familiare voluto con la zia Giovanna di cui sembra aver ereditato lo spirito. Vendette di famiglia, frasi sentite alla porta col padre che parlando con la madre sparla della sorella e teme che la figlia possa somigliarle. Ed ecco una storia quindi tutta doppia: la citt borghese della famiglia del professore universitario di sinistra che non ha problemi a tradire la moglie (e viceversa) e la citt proletaria, bassa dove i destini della zia Vittoria si incastrano in quelli della nipote, formando un viluppo inestricabile di sentimenti che vive negli episodi della maxi storia familiare.

Dove s, gli adulti non faticano a mentire e il padre progressista si dimostra debole con la vita anche se allora c’era ancora l’ancora di salvezza di un partito di sostegno a sinistra. Certo per un regista come il 44enne Edoardo De Angelis, napoletano d.o.c., dirigere la bella serie prodotta da Fandango stato come rivivere infanzia e giovinezza, di nuovo calpestando gli stessi selciati fisici e morali. De Angelis ha diretto in questi anni al cinema alcuni dei titoli pi profondamente legati alla citt, al suo spirito, anche al suo essere trash (Le indivisibili), atrocemente senza futuro nello sguardo (“Il vizio della speranza”). Ma poi arrivato poi ad affrontare (un solido rifugio) anche alcuni classici di De Filippo (“Natale in casa Cupiello”, “Non ti pago” e pure “Sabato, domenica e luned”): ora si butta nella dialettica quasi contemporanea Ferrante, scrivendo la sceneggiatura con lei, Piccolo, Laura Paolucci.

E’ soprattutto uno specchio tra la Napoli borghese del Vomero e quella proletaria e popolare, quindi sempre sottosopra come la protagonista di questa infelice cronaca familiare che alla fine non ha n vincitori n vinti. Finisce solo con un patteggiamento verso le tappe della vita, dopo che la ragazza (subito i complimenti a Giordana Marengo, scelta fra 3000 candidate, per la sua adesione non troppo viscerale e i suoi 100 giorni di riprese) ha conosciuto la famosa zia, ha avuto il famoso braccialetto, ha conosciuto perfino Milano. La parte in trasferta la meno felice sia per le soluzioni geografiche (subito a ridosso della stazione il chiostro inconfondibile dell’Universit statale qui per travestita da Cattolica perch l’intellettuale viene da l) sia per i contraccolpi psicologici all’interno della storia che alla fine quella della ricerca difficile di una identit dopo la felice et dell’innocenza.

Una identit che sta in mezzo tra la citt di sopra e di sotto ed anche a due filosofie di vita, che in fondo sono eredi anche delle commedie di Eduardo che raccontano la piccola borghesia: sono bravissimi sia Alessandro Preziosi che gioca con la sua misura sull’antipatia culturale del padre, sia Pina Turco la madre che subisce ma anche attacca. Valeria Golino affronta alla grande, da sciamana, il personaggio della zia, controverso e misterioso, ne fa una strega di citt ma anche una donna che conserva dentro tanti perch non risolti. La serie ha una bella naturalezza, che si smorza un poco nel finale, ma solo una pecca non da poco: la presa diretta delle voci rende spesso il dialogo di difficile comprensione, per non dire delle finali dei discorsi, sempre sussurrati, spesso da sentire due volte ed questa l’unica duplicit che davvero molesta.

25 gennaio 2023 (modifica il 25 gennaio 2023 | 08:01)

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