Il voto in Austria è solo l’ultimo terreno di scontro, piuttosto aspro, tra gli alleati. Nel silenzio di Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega non smettono di marcare le reciproche distanze e di alimentare le tensioni in maggioranza, dallo Ius Scholae all’autonomia. Con gli azzurri che non perdono occasione per sottolineare che “le battaglie politiche si vincono sempre al centro” e i leghisti che rivendicano “il vento del cambiamento” mentre preparano l’appuntamento di Pontida che ospiterà tutti gli amici “patrioti”. Mentre i suoi vicepremier duellano su quanto sia “neonazista” l’Fpö, l’estrema destra austriaca che si è affermata come primo partito alle elezioni, Giorgia Meloni tace. Ma certo non è contenta, dice chi le ha parlato, dei continui litigi tra i partiti che sostengono il suo governo, intensificati dopo le elezioni europee di giugno. 

Giorgia Meloni (Rainews24)

Prima, nel bel mezzo dell’estate, la querelle sulla cittadinanza, su cui fi ha intenzione di insistere presentando una proposta di legge convinti di poter “convincere gli alleati”. E l’autonomia, maldigerita dagli azzurri che continuano a chiedere di “congelare” la riforma fino a che non sarà pienamente compiuta, come fa di nuovo il governatore della Calabria Roberto Occhiuto. Senza considerare le schermaglie parlamentari andate in scena sul decreto omnibus, tutte interne alla maggioranza, che rischiano di amplificarsi quando arriverà la manovra. 

Antonio Tajani, leader di forza Italia

Antonio Tajani, leader di forza Italia (Rainews.it)

La premier lavora per tutto il giorno a palazzo Chigi – dove incontra, a sorpresa, anche l’Ad di BlackRock Larry Fink per discutere di investimenti e di strategie e strumenti per lo sviluppo dell’Africa e la ricostruzione dell’Ucraina – e non fa intervenire nessuno dei suoi nel dibattito. Aperto in mattinata da una dichiarazione piuttosto pesante di Antonio Tajani: “bisogna escludere il partito della libertà” dal governo austriaco e respingere “ogni rigurgito neonazista”, dice il segretario di Fi, scatenando la reazione leghista. Prima Matteo Salvini, che non lo cita, anche se l’affondo è chiaro (“o c’è qualcuno che dorme male, che mangia pesante, perché’ non penso ci sia l’allarme neonazista in Francia, o in Germania, in Austria e in Olanda”), poi il capodelegazione del partito di via Bellerio all’europarlamento, che invece chiama in causa direttamente il ministro degli esteri e liquida la questione neonazista a una presa di posizione “ridicola”. Schermaglie, differenze che in coalizione sono fisiologiche, ma al momento del voto la maggioranza è “compatta”, è il leitmotiv dei meloniani che trovano, a taccuini chiusi, un po’ troppo esacerbato il confronto. Si guardano bene, però, dall’entrare nella diatriba tra i due alleati, in un esercizio di equilibrismo tra la vocazione, che il partito della premier cerca di seguire anche in Europa, di un “conservatorismo moderno” e il fastidio, più volte esplicitato, per le etichette che tendano ad escludere forze politiche “democraticamente elette”. Tanto che Carlo Fidanza, uno dei pochi esponenti di Fdi che commenta il voto di Vienna sui social prima che si scateni la rissa tra i due vicepremier, si limita ad auspicare, come in ogni occasione simile, la “collaborazione” tra i partiti di centro e destra per non fare “il gioco della sinistra”. 

Matteo Salvini (ansa)

Il partito della premier, poi, appartiene a un’altra famiglia politica, quella dei conservatori, ed è appena entrato nell’international democracy union dove siedono molti dei partiti che fanno capo al ppe, compreso quello del cancelliere uscente austriaco Karl Nehammer. Un percorso diverso da quello dei ‘patrioti’ riuniti da Viktor Orbàn (che si sono tutti complimentati per il successo di Herbert Kickl). Peraltro, ai piani alti di Fdi sono tutti interamente concentrati sul delicato passaggio delle audizioni al parlamento europeo del commissario italiano (e di Ecr), Raffaele Fitto. Che, sono sicuri i meloniani, non avrà nessun contraccolpo dall’avanzata dell’estrema destra.  

Raffaele Fitto (Ansa)

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