Una riflessione sulle condizioni di lavoro dei rider italiani, a partire dall’attualità e dai rischi per la loro salute, legati al clima e in particolare al caldo estivo. A proporre un’approfondita analisi sul tema è Marco Omizzolo, sociologo, docente e ricercatore  dell’Eurispes.        

“Numerose Regioni – spiega Omizzolo – hanno emanato un provvedimento che vieta  il lavoro all’aperto nelle ore centrali della giornata, ossia dalle  12,30 alle 16,30. Si smette dunque di lavorare nelle strade e nei  cantieri, ma anche nei vivai, nell’agricoltura e nelle cave in  relazione al monitoraggio quotidiano che viene pubblicato sul sito  worklimate di Inail e Cnr. A prendere questi provvedimenti sono state  la Lombardia, Abruzzo, Emilia-Romagna e Sardegna, e prima di tutte la  Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Liguria, Puglia, Sicilia e  Toscana”.

Ma osserva il sociologo “concentrarsi, in un  Paese come l’Italia che dispone di una Costituzione fondata sul lavoro e su una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa, solo sulle condizioni meteo che intervengono sull’attività del rider e non anche sulle loro caratteristiche specifiche legate alle modalità di reclutamento e impiego mediante algoritmo, significa prevedere formalmente la tutela del lavoratore e nel contempo lasciarli esposti a varie forme di  sfruttamento a tempo indeterminato”, osserva il sociologo.

Il ricercatore  spiega come “i pericoli che intervengono sull’attività del singolo rider non riguardano solo i colpi di calore, le cadute improvvise,  gli svenimenti o il rischio di incidenti derivanti dall’esposizione a uno stress psicofisico eccessivo. Queste problematiche vanno inserite in un ambito più ampio quale l’inadeguato governo dell’interazione tra digitalizzazione e lavoro, responsabile della compromissione  ricorrente del processo, peraltro costituzionalmente previsto,  dell’inclusività sociale delle persone così impiegate”. 

Inoltre, citando un saggio di Maria Barberio (Sfruttamento del lavoro e digitalizzazione: condizioni di  lavoro, obbligo di reperibilità, predominio dell’algoritmo e ruolo  degli enti locali, Rubbettino, 2024), il sociologo ricorda come “la digitalizzazione deregolamentata può diventare  uno strumento per la proliferazione di fenomeni di lavoro povero, irregolare ed insicuro, con una specifica prevalenza in tal senso, per via del carattere imprevedibile del meteo di questa estate, di danni  irreparabili per coloro che sono impiegati in questo genere di  attività”.  

Tra le modalità “più ricorrenti che concorrono a determinare lo sfruttamento dei rider – continua il sociologo – da cui deriva il loro obbligo al lavoro secondo gli ordini impartiti dall’algoritmo, a prescindere, in genere, dalle condizioni  meteo più o meno avverse, si possono citare l’iper-connessione e la sovra-reperibilità, favorite dall’utilizzo di devices che  rappresentano una forma larvata, ma non per questo meno pervicace, di  sfruttamento opaco, dal momento che non mette in luce la situazione di vulnerabilità che vive un lavoratore che non può esercitare il diritto umano alla disconnessione. È da qui che deriva l’obbligo del rider al lavoro anche con il caldo estremo, quale accezione più evoluta rispetto al solo problema delle temperature estive intese come dato naturale in sé non superabile”.

Secondo Omizzolo “i provvedimenti emanati dalle regioni, dunque, sebbene fondamentali ai fini della tutela della salute dei rider,  bypassano le condizioni specifiche che fanno di questi lavoratori degli sfruttati della gig economy, che solo una riorganizzazione per  via normativa e dunque politica della relativa filiera e settore potrebbe, probabilmente, arginare”.        

 

Per il ricercatore dell’Eurispes “la digitalizzazione, dunque, può portare ad estreme conseguenze rischi per salute e sicurezza, all’insorgenza di pericoli nuovi, frutto di modelli  organizzativi di lavoro complessi e parcellizzati, in cui la  titolarità degli obblighi prevenzionistici finisce per essere messa in discussione, che devono essere trattati dal legislatore insieme al  pericolo meteo variamente inteso. Comprendere in che modo gli  algoritmi influenzano o determinano talune decisioni (quali l’accesso a future opportunità di lavoro, i bonus, l’imposizione di malus come  l’eventuale sospensione o limitazione degli account) è ancora una sfida con notevoli implicazioni per il reddito e le condizioni  lavorative delle persone che lavorano mediante piattaforme digitali, a prescindere dalla condizione meteo intercorrente”.        

E “concentrarsi solo sulla variabile meteo, isolandola dal contesto lavorativo dei rider e dalla sua organizzazione specifica, è un po’ come guardare il dito quando esso indica la luna”, conclude Omizzolo.

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