Una lettera aperta indirizzata ai propri figli per spronarli a “continuare a camminare sempre a testa alta” e per ribadire l’orgoglio, come figlio, di aver avuto “genitori  di un’altra categoria”. A scriverla è Manfredi Borsellino, figlio di  Paolo, il giudice assassinato nella strage di via D’Amelio il 19  luglio del 1992, dopo le parole sentite durante la trasmissione Rai “Lo stato delle cose”, in cui sono state ricostruite alcune intercettazioni captate dalla Guardia di finanza a casa dell’ex presidente della Corte d’Appello di Palermo, Gioacchino Natoli, oggi indagato dalla Procura di Caltanissetta. Intercettazioni in cui si fa riferimento ai familiari del giudice antimafia con parole pesanti e offensive. “Cari Merope, Paolo e Fiammetta – scrive adesso Manfredi Borsellino nella lettera aperta -, a distanza di anni emerge che un altro ex collega del vostro nonno, seppure nel corso di una conversazione privata, avrebbe definito vostro padre e le sue sorelle ‘tutti senza neuroni’, insulti ed epiteti più o meno analoghi a quelli – come ricorderete – che ci aveva rivolto un’altra autorevole ex giudice, oggi condannata e detenuta per avere reiteratamente tradito quello Stato per cui vostro nonno aveva sacrificato la vita”. Le parole denigratorie, però, non sarebbero state rivolte solo ai figli del giudice Borsellino, Lucia, Manfredi e Fiammetta. “Questa volta però sarebbe stata financo insultata e vilipesa la vostra cara nonna Agnese – ricostruisce Manfredi Borsellino nella lettera aperta indirizzata ai figli -, fatta passare nel corso di questa conversazione per ‘deficiente’ e per una donna a cui ‘nessuno nel mondo e nella vita avrebbe mai dato retta’, tanto che sarebbe stato ‘indifferente sapere se era viva o morta’”. “Parole terribili”, per il figlio del giudice ammazzato dal tritolo di Cosa nostra, parole “per le quali potrei dirvi anche questa volta ‘non vi curate di loro ma guardate e passate’, ma uno di voi tre ieri sera, seguendo il  programma tv che si è occupato della incresciosa vicenda, mi ha confidato di essere rimasto abbastanza scioccato per aver conosciuto personalmente quell’ex collega del nonno – scrive ancora Manfredi – e per averne sentito parlare come una persona che gli era vicino, per cui ritrovandosi a sentire quelle parole che gli sarebbero state attribuite gli veniva da pensare allora ‘quante altre persone siano  come lui..'”.  “A questo punto – conclude la lettera – sento il dovere di dirvi oggi  di continuare a camminare sempre a testa alta, perché forse vostro  padre e le vostre zie per questi personaggi ‘avranno pochi neuroni’,  ma siamo stati fortunati per avere avuto figli come voi e genitori –  per dirla in gergo calcistico come sapete caro a papà – di ‘un’altra categoria’”.

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