Nel giorno in cui si discute in tutto il mondo su come fermare la violenza sulle donne, arriva a un passaggio giudiziario importante uno dei casi che ha fatto più “rumore” negli ultimi anni. 

Nel processo a Filippo Turetta, reo confesso di avere ucciso Giulia Cecchettin un anno fa, il pubblico ministero Andrea Petroni è chiamato a sintetizzare in una richiesta di condanna le indagini e gli esiti dello scarno dibattimento, senza testimoni ma con un lungo esame dell’imputato accusato di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, crudeltà, efferatezza, di sequestro di persona, di occultamento di cadavere e di stalking

Una sequela di reati che significano ergastolo a meno che, ma è molto improbabile, la difesa, con gli avvocati Giovanni Caruso e Monica Cornaviera, non riesca a convincere  la Corte d’Assise che Turetta non premeditò il delitto.

E’ stato però lo stesso studente di ingegneria, ora recluso nel carcere Montorio di Verona, ad ammettere in aula che lo scotch trovato dai carabinieri nella sua auto serviva per legare la vittima, che i coltelli furono messi nella Grande Punto poco prima del crimine e a ripercorrere la ‘lista delle cose da fare’ che per il pm dimostra la lucida volontà di eliminare Giulia perché non accettava che fosse uscita dalla sua vita.

 

Filippo Turetta ha pianificato di uccidere Giulia Cecchettin: si è appuntato su un foglio gli oggetti da comprare per immobilizzare l’ex fidanzata, ha studiato le mappe per  potersi disfare del corpo e ha organizzato la sua fuga da Vigonovo  (Padova). Non ha mai considerato l’idea di poter lasciare in vita chi aveva deciso di lasciarlo, tanto meno ha pensato di fare del male a se stesso. Ne è convinto il pm Andrea Petroni che lo ha incalzato durante l’interrogatorio.

 

In aula ancora una volta la ricostruzione della relazione altalenate di circa un anno e mezzo fra i due studenti di Ingegneria biomedica, la crescente ossessione dell’imputato, la scelta della vittima di allontanarsi e l’insistenza di Turetta che si trasforma in persecuzione soffocante – fino a spiarla con un’app sul  cellulare – che gli costa l’aggravante dello stalking. 

Impossibile, per l’accusa, non sostenere la crudeltà: sono 75 le coltellate  inflitte contro la vittima che lo rifiutava. “Ho ucciso Giulia perché  non voleva tornare con me, soffrivo di questa cosa. Volevo tornare  insieme e lei non voleva…mi faceva rabbia che non volesse” le parole di Turetta.

Dopo una serata insieme e l’ultimo ‘no’, Turetta realizza il suo piano appuntato nella lista, un elenco di oggetti da comprare e idee, che è la prima parziale confessione. 

“Ho ipotizzato di rapirla in macchina,  di allontanarci insieme verso una località isolata per stare più tempo insieme…poi aggredirla, togliere la vita a lei e poi a me” dice interrogato.

Bugie, il piano è sempre stato uno. L’11 novembre 2023  nel parcheggio di Vigonovo, a pochi passi da casa Cecchettin, Turetta sa cosa vuole. Quando uno dei coltelli si rompe lui non si ferma:  costringe l’ex a salire in macchina, la blocca con dello scotch e quando prova a scappare la finisce con un’altra lama, nella zona industriale di Fossò. Dopo cento chilometri abbandona il corpo,  avvolto in sacchi neri, vicino al lago di Barcis e prosegue la fuga in solitaria tra stradine studiate in anticipo, usando solo contanti e  spegnendo il telefono per non farsi trovare. Fino alla resa in  Germania, una settimana dopo l’omicidio di Giulia Cecchettin.

Dopo Petroni toccherà agli avvocati della famiglia: Stefano Tigani, che rappresenta Gino Cecchettin, papà della vittima, Nicodemo Gentile per la sorella Elena Cecchettin, Piero Coluccio per lo zio Andrea Camerotto, Antonio Cozza per la nonna paterna. 

Martedì le arringhe della difesa con Turetta che dovrebbe riprendere la parola. La sentenza è attesa per il 3 dicembre.

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