“Il livello è basso oggi arrestano a uno e si fa pentito; arrestano un altro…livello misero, basso, ma di che cosa stiamo parlando? Io spero sempre nel futuro, in tutta Palermo, da noi, spero nel futuro di chi sarà il più giovane”. Sono le parole del capomafia di Brancaccio Giancarlo Romano non sapendo di essere intercettato.
Quello che emerge dalla maxi-inchiesta della Dda di Palermo e dei carabinieri che ha portato in cella 181 persone è una forma di “nostalgia” tra le file mafiose della vecchia Cosa nostra e dei boss d’un tempo.
Dopo i falliti tentativi di ricostituire la commissione provinciale e di restituire a Cosa nostra un organismo centrale, ai mafiosi resta, dunque, il rimpianto degli storici capimafia dei quali ricordano “prestigio” e spessore criminale.
“A scuola – proseguiva il boss Romano- te ne devi andare. Conoscerai dottori, avvocati, quelli che hanno comandato l’Italia, l’Europa. Per dire quando si parla dei massoni, i massoni sono gente con certi ideali ma messi nei posti più importanti. Se tu guardi ‘Il Padrino’, il legame che aveva…non era il capo assoluto..lui è molto influente per il potere che si è costruito a livello politico nei grossi ambienti. Noi che cosa possiamo fare?”
Poi la critica alle nuove leve. “Ma tu devi campare con la panetta di fumo, cioè così siamo ridotti? Le persone di una volta, quelli che disgraziatamente sono andati a finire in carcere per tutta la vita, ma che parlavano della panetta di fumo? Cioè se ti dovevano fare un discorso di fumo, te lo facevano perché doveva arrivare una nave piena di fumo. Se tu parli con quelli che fanno business, ti ridono in faccia. Ma questo business è? Siamo troppo bassi, siamo a terra ragazzi. Noi pensiamo che facciamo il business, oggi sono altri. Dico, eravamo prima noi, oggi lo fanno altri noi siamo gli zingari”.
Sempre dall’inchiesta emerge un altro tratto: Cosa nostra non rinuncia alle vecchie regole come l’indissolubilità del vincolo associativo, che un boss paragona, non sapendo di essere intercettato, al sacramento del matrimonio. “Cosa nostra? Ta maritasti sta mugghieri e ta puorti finu a vita”, diceva. Alcuni poi esprimono orgoglio per l’appartenenza alle cosche propinata come scelta di natura ideologica e non utilitaristica.
“Non ho mai creduto io nella cosa nostra ai fini di scopo di lucro – dice Gioacchino Badagliacca – io ho sempre pensato che a me per nobili principi per me questo è quello che è cosa nostra ci ho sempre creduto dal profondo del mio cuore, dico, e mi sono fatto dieci anni di carcere”.
O ancora: “Abbiamo degli ideali nostri dentro che non li facciamo morire mai perché ci muremu, – spiega un altro – perché in futuro noialtri preghiamo il Signore che certe cose non finiranno mai perché sappiamo noialtri i nostri ideali, sappiamo perché siamo noi contro lo Stato, perché siamo contro la polizia”.