«Everything Everywhere All at Once» dei Daniels torna in sala dal 2 febbraio forte di 11 nomination all’Oscar. Un’intricata avventura che sembra «un viaggio sotto acido»
Una modesta proposta: accompagnare certi film con l’avvertenza «Sconsigliato ai maggiori di…». Non per proibire la visione, ma per avvertire lo spettatore che quel titolo è fatto per un pubblico particolare. Per esempio Everything Everywhere All at Once
fin dal titolo (più o meno «Ogni cosa ovunque all’improvviso») dovrebbe far capire che, al di là delle 11 nomination con cui concorre agli Oscar, chiede — o forse pretende — uno spettatore «pluritasking», capace di una velocità di reazione mentale e visiva che già dopo i 25 anni potrebbe rivelare qualche falla.
All’inizio tutto sembra svolgersi nella più confortevole normalità: Evelyn Wang (Michelle Yeoh) gestisce una lavanderia automatica da qualche parte negli Usa con l’imbranato marito Waymond (Ke Huy Quan) mentre si prende cura del vecchio padre Gong Gong (James Hong) e fatica ad accettare il lesbismo della figlia Joy (Stephanie Hsu) che vorrebbe presentare la fidanzata Becky (Tallie Medel) alla festa per il compleanno del nonno. Ma a rovinare questo già periclitante tran tran quotidiano arriva la convocazione dell’addetta delle imposte Deirdre (Jamie Lee Curtis), che contesta le detrazioni che Evelyn vorrebbe presentare.
Ed ecco che proprio nell’ufficio delle tasse la donna si sente come risucchiata da qualche altra parte: è il richiamo delle dimensioni alternative al mondo quotidiano, quelle — come le spiega un marito anche lui improvvisamente cambiato nel carattere — dove Evelyn non è più una modesta commerciante del cosiddetto «Alphaverso» ma una brillantissima scienziata che ha scoperto come «collegare temporaneamente la sua coscienza con altre versioni di se stessa accedendo a tutte le sue altre memorie».
Già qui la mente paleo-cartesiana di uno spettatore ultratrentenne inizia a vacillare: pensa a «Matrix» e ai suoi due universi, magari arriva fino a «Spider-Man: No Way Home» con il suo triplice multiverso, ognuno però facilmente — si fa per dire — identificabile da uno Spider-Man differente perché interpretato da differenti attori. Qui invece le cose sono subito molto più complicate perché è sempre Michelle Yeoh (indimenticata spadaccina di «La tigre e il dragone») che varia «identità» con la velocità del fulmine, da star del cinema a cuoca, da scienziata ad amante lesbica con strane dita che sembrano würstel. Seguita anche dal marito Waymond che ogni tanto appare sotto altre spoglie. E non finisce qui, perché su tutto incombe la minaccia del misterioso Jobu Tupaki che sembra divertirsi a confondere i vari multiversi per precipitarli nel caos.
Mentre i comprimari dell’Alphaverso tornano ogni tanto a far capolino nelle dimensioni alternative in cui si muove Evelyn, naturalmente assumendo diverse e più aggressive identità così da costringere la nostra eroina non più giovanissima a sfoderare le sue ancora notevoli qualità di campionessa di kung-fu, il summenzionato spettatore pseudo-cartesiano si aspetterebbe che il «caos» creato da Tupaki (anche lui con una identità proveniente dall’Alphaverso) venisse pian piano diradato. Così almeno succedeva nei film a cui eravamo stati abituati. E invece qui i due registi-sceneggiatori Daniel Kwan e Daniel Scheinert, soprannominati «the Daniels», sembrano divertirsi a rendere tutto ancora più intricato, più confuso, più multiversico.
Uscito nel marzo scorso un po’ alla chetichella negli Stati Uniti ed esploso a sorpresa al botteghino superando i 100 milioni di incasso (nonostante la pandemia), il film ha affascinato il pubblico più giovane, abituato a ragionare con la logica non certo cartesiana dei videogiochi e desideroso, come ha scritto un utente, di provare quello che sembra «un viaggio sotto acido». Adesso, forte delle sue 11 candidature, ritorna sugli schermi italiani (era uscito inosservato a ottobre) alla ricerca di un pubblico che forse non riconoscerà tutte le strizzatine d’occhio (ne fa le spese anche «2001 Odissea nello spazio»), ma è disposto a farsi stordire da un cinema ultra-cinetico. A patto — va ricordato — di non avere le sinapsi un po’ intorpidite dall’età.
29 gennaio 2023 (modifica il 30 gennaio 2023 | 07:48)
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