Moody’s lancia l’allarme dazi a pochi giorni dalla scadenza del 9 luglio, quando gli Stati Uniti di Donald Trump faranno scattare tariffe più alte per i Paesi con i quali non sono riusciti a raggiungere accordi commerciali.
Al momento il presidente americano ha escluso qualsiasi proroga, lasciando le capitali mondiali a interrogarsi su quanto potrebbe accadere la prossima settimana. Le trattative fra la Casa Bianca e l’Unione europea continuano. Il ministro del commercio Maros Sefcovic è a Washinton per incontrare i negoziatori americani Howard Lutnick e Jamieson Greer. Al tavolo Bruxelles si siede consapevole di dover accettare dazi al 10% come base dell’intesa, ma punta a ottenere esenzioni su alcuni dossier chiave. La strada resta in salita e un accordo, al momento, non appare ancora certo.
Se l’Europa si gioca tutte le carte a disposizione, preparandosi anche a un piano B qualora un’intesa non fosse raggiunta, il Giappone guarda con estrema preoccupazione ai negoziati appesi a un filo. Tokyo è infatti da giorni nel mirino di Trump, che non ha escluso nei confronti dell’alleato dazi al ‘30%, 35% o qualsiasi cosa decideremo’.
Brinda invece il Vietnam: Hanoi è riuscita a concludere un accordo con gli Stati Uniti in base al quale importerà a tariffe zero il Made in Usa e pagherà dazi del 20% sui prodotti che esporterà negli Stati Uniti. Un accordo – ha celebrato il presidente americano – che beneficerà gli Usa e gli americani.
Attende fiduciosa un’intesa anche l’India: le trattative sarebbero in fase avanzata e mancherebbe solo l’annuncio finale.
La Cina segue a distanza con attenzione gli accordi americani in Asia, preoccupata dalla possibilità che possano isolare le sue aziende dalle catene di approvvigionamento globali. La Cina è un partner commerciale maggiore degli Usa per molte economie asiatiche e Pechino ha già messo in guardia sul fatto che ci saranno conseguenze se i suoi interessi saranno minacciati.
L’India e il Vietnam sono i due Paesi a cui le aziende americane hanno guardato per produrre e investire al picco dello scontro fra Washington e Pechino così da evitare di essere vittime della guerra commerciale fra le due superpotenze economiche. E non è un caso che l’amministrazione abbia deciso di dare la precedenza a Nuova Delhi e Hanoi nelle trattative per accerchiare la Cina.
Mentre le grandi manovre procedono in vista del 9 luglio, appare chiaro che l’obiettivo iniziale dell’Amministrazione Trump di 90 accordi in 90 giorni non sarà centrato. Il consigliere Peter Navarro aveva ostentato sicurezza subito dopo l’annuncio della pausa sui dazi reciproci svelati durante il ‘giorno della liberazione’, dicendo che non ci sarebbe stati intoppi per chiudere 90 accordi. Negli ultimi giorni però il segretario al commercio americano ha parlato al massimo di 10 intese. Per ora gli Stati Uniti ne hanno siglate solo tre, con il Regno Unito, la Cina e il Vietnam.
In attesa di un quadro più chiaro, Moody’s ha tagliato le prospettive sui rating sovrani globali, portandole da ‘stabili’ e ‘negative’ per l’incertezza della politica commerciale.
L’agenzia di rating ha anche rivisto al ribasso le stime di crescita per il 2025 per ‘tutte le aree’, complici anche le incertezze geopolitiche.
A seguire gli sviluppi con cautela è pure Wall Street. I listini americani procedono incerti anche in attesa dei dati sulla disoccupazione che potrebbero essere determinanti per un taglio dei tassi della Fed. La banca centrale è sempre più nel mirino di Trump, che sta esercitando un pressing sfrenato su Jerome Powell affinché riduca il costo del denaro. Ad aiutare il presidente è il suo alleato Bill Pulte, il direttore della Federal House Finance Agency. Pulte ha chiesto al Congresso di indagare Powell per la sua audizione al Senato, ‘abbastanza per una sua rimozione per giusta causa’.
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