Prima, il ritrovamento a fine luglio di un Dna sconosciuto su un proiettile che sembrava legare tre degli otto duplici omicidi attribuito al maniaco di Firenze – e in seguito al quale si chiedeva la riesumazione del corpo di Stefania Pettini.
Poi, il 12 settembre, la possibile riapertura del caso dovuta ad una nuova analisi condotta nella zona in cui fu uccisa la coppia di campeggiatori francesi e che ha messo in dubbio la veridicità della deposizione di Giancarlo Lotti, il “compagno di merende” di Pacciani, testimone e reo – confesso.
Infine oggi: la riesumazione dei resti di Francesco Vinci nel cimitero di Montelupo Fiorentino, ordinata dalla Procura. Al nome dell’uomo è legata la cosiddetta “pista sarda”.
La vedova Vitalia Velis e i figli hanno chiesto in via autonoma la riesumazione del cadavere del loro congiunto per sapere, grazie all’esame del Dna, se è veramente suo il corpo dell’uomo trovato ucciso, incaprettato e carbonizzato nel bagagliaio di un’auto nell’agosto 1993, nella campagna di Pisa. La donna è sicura di aver visto il marito vivo poco tempo la proclamazione della sua morte e racconta di averlo visto qualche giorno dopo la scoperta della scomparsa: la salutava con un cenno della mano da un’auto. “Andò dai carabinieri, ma la cosa non ebbe seguito”.
La serie di morti legata ad uno dei casi più macabri e oscuri della cronaca nera italiana, quella del “mostro di Firenze”, continua a far parlare di sé nonostante siano passati 40 anni dal ritrovamento delle ultime vittime uccise, laddove le prime risalgono al 1968, per un totale di otto coppie trucidate.
Francesco Vinci fu carcerato nel 1982 come sospettato di essere l’autore dei delitti delle coppiette ma venne poi scagionato e rimesso in libertà dopo il delitto dei ragazzi tedeschi a Giogioli del 1983, avvenuto proprio mentre si trovava chiuso in cella.
Dieci anni dopo, Francesco Vinci fu trovato ucciso e carbonizzato nel 1993 nella sua auto insieme all’amico e servo pastore Angelo Vargiu nella campagna di Chianni, in provincia di Pisa. La sua morte viene inserita come “collaterale” rispetto a quelle che hanno riguardato a vario titolo gli indagati dei delitti del Mostro di Firenze.
Assieme al fratello Salvatore Vinci fece parte della cosiddetta ‘pista sarda’ seguita dalla procura di Firenze negli anni ’80 per spiegare i delitti del mostro in un periodo in cui la Toscana, peraltro, era anche segnata dai sequestri dell’Anonima sarda.
Ancora oggi, i familiari ipotizzano che il cadavere non sia suo e, pertanto, vogliono chiarire la questione con l’esame del Dna.
Come riporta la Nazione, la moglie si è affidata al detective David Cannella – convinto che Vinci si trovi nascosto in Spagna – che ha fatto parte anche del pool difensivo di Pacciani, da sempre convinto che la soluzione del mistero del mostro stia nel primo omicidio avvenuto nell’agosto del 1968 a Signa. Vitalia Velis ha ingaggiato anche un genetista forense, Eugenio D’Orio, e un medico legale, Aldo Allegrini, per ricavare il dna da studiare.
“Nel 1993 il riconoscimento dei familiari, davanti a un corpo ridotto a poltiglia, venne effettuato sull’orologio e la fede”, spiega l’investigatore.
Le cronache ricordando Francesco Vinci fu amante di Barbara Locci, uccisa assieme al siciliano Antonio Lo Bianco nel 1968 a Castelletti di Signa – primo delitto attribuito alla serie del mostro per via della medesima pistola, la Beretta calibro 22.
Vinci fu accusato proprio dal marito della Locci, Stefano Mele, a sua volta già condannato, come l’autore del duplice omicidio del 1968. Francesco Vinci avrebbe agito per motivi di gelosia verso la Locci ma la modalità e il fatto che potesse possedere una pistola alimentò sospetti investigativi su di lui.