Questa mattina la giudice per le indagini preliminari Raffaella Mascarino ha interrogato nel carcere di Bergamo Moussa Sangare, il 30enne che ha confessato di avere ucciso Sharon Verzeni la notte tra il 29 e 30 luglio scorso nella vicina Terno d’Isola.
Sangare ha confermato le dichiarazioni già rese ai Carabinieri: ha ripetuto che “non c’era un movente e – ha aggiunto – non so il perché l’ho fatto”. Sangare, come ha riferito il suo legale Giacomo May, ha detto alla giudice di essere uscito di casa con questa “sensazione che non so spiegare” e che lo ha spinto “a voler fare del male”. Inoltre ha detto che nei giorni prima aveva fatto una sorta di esercitazione con una statua.
Le parole della sorella Awa
“Ho avuto paura di morire anche io. Mio fratello ha tentato di uccidermi. Quello che ha fatto a Sharon poteva succedere a me. Ne sono convinta”. Ad affermarlo al Corriere della Sera è Awa, sorella di Moussa Sangare, il 30enne che ha confessato il delitto di Sharon Verzeni. “È stata un’escalation dice – Io e mia madre Kadiatou abbiamo fatto di tutto per aiutarlo. Non volevamo credere a quello che ha confessato. Con mamma siamo scoppiate in lacrime. Forse però se ci avessero ascoltate Sharon sarebbe ancora viva. Il nostro pensiero va a lei e alla sua famiglia”.
La famiglia aveva denunciato la violenza di Moussa tre volte: “La prima nel 2023, l’ultima a maggio. Danneggiamenti, violenza domestica, maltrattamenti. Eravamo in pericolo. Nessuno si è mosso. Sia io sia il mio avvocato abbiamo scritto al sindaco, agli assistenti sociali. I segnali c’erano tutti. Volevamo aiutarlo a liberarsi dalla dipendenza. Ci abbiamo provato: hanno detto che doveva essere lui a presentarsi volontariamente. Non lo ha fatto”.
Il giovane era cambiato “dal suo ritorno dall’estero. Nel 2019. Moussa ci ha detto che aveva fatto uso di droghe sintetiche. Non era più lui”. Era violento: “Per qualche anno abbiamo tentato di contenerlo. Nel 2023, ad aprile, mia mamma ha avuto un ictus. La situazione è degenerata: quella notte ha tentato di buttare giù la porta. Voleva i soldi. Tre mesi dopo ha aperto il gas, incendiando la cucina”. A novembre “mi ha minacciato con parole pesanti. Mi ha detto ‘Ti ammazzo’, mi ha gettato oggetti addosso. Abbiamo chiesto aiuto ai servizi sociali e al sindaco. Siamo state lasciate sole”.
“Il 9 maggio scorso mi ha puntato contro un coltello, prendendomi alle spalle. Ero in cucina, ascoltavo musica con le cuffie. È scattato il codice rosso e il suo allontanamento. Abbiamo scoperto che aveva occupato la casa al piano terra. Non è stato fatto nulla. Forse un accertamento sanitario andava richiesto. Nessuno si è presentato, nessuno ha controllato”.