Il documentario dell’attrice, polacca da anni in Italia, ci ricorda il dovere di metterci la faccia per non sentirci complici di quel che non accettiamo
Tra le eredità lasciate dal governo polacco appena sconfitto alle elezioni c’è anche un muro di 186 chilometri per impedire il passaggio di immigrati clandestini dalla Bielorussia, un muro che nessuno doveva vedere, protetto da una «zona rossa» per tenere lontani occhi indiscreti, e che Kasia Smutniak (attrice polacca da anni trapiantata in Italia) decide invece di mostrare al mondo.
Il risultato è «Mur» (da giovedì nei cinema) dove per una volta il protagonismo autoriale non diventa occasione di narcisismo ma strumento necessario per aiutare a capire: questo «diario in pubblico» nasce infatti dalle radici polacche della Smutniak, dal sentirsi parte di una comunità che non vuole accettare l’egoismo separatista cavalcato dal partito fino a ieri al potere.
E per questo è giusto vederla mettersi in gioco in prima persona, accompagnare i volontari che sfidano i divieti per aiutare i migranti che hanno bisogno di soccorso nella zona rossa, sentirla rievocare altri muri eretti in passato (contro gli ebrei) e condividere con lei i rischi e i pericoli.
Con indubbia sincerità e tenendosi ben lontano dalla retorica, il documentario di Kasia ci apre gli occhi sugli orrori dell’isolazionismo nazionalista ma soprattutto ci ricorda il dovere di «mettere la faccia» per non sentirsi complici di quello che non accettiamo.
19 ottobre 2023 (modifica il 19 ottobre 2023 | 20:44)
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