Il Boemo di Petr Vaclav, atteso al Festival di Trieste, racconta la vita del musicista morto nel 1781: «Acclamato dalle corti italiane, poi fu considerato un immorale e dimenticato. A Praga è un simbolo dimenticato ma il mio lavoro è un evento culturale»
Nelle prime immagini del film Il Boemo di Petr Vaclav si vede Josef Myslivecek che, non avendo più di che vivere, a Roma, poco prima di morire, nel 1781 all’età di 44 anni, si reca al Banco dei Pegni cercando di vendere la sciabola. Porta la maschera di cuoio color carne che ne copre il volto deturpato e deformato dalla sifilide. Ha un aspetto orribile. Fino a pochi anni prima era stato uno dei compositori più ricercati e acclamati alle corti italiane. Mozart, che sarebbe nato 19 anni dopo, lo considerava un gigante della musica. «Dopo la malattia fu considerato un immorale, la gente lo evitava», racconta il regista praghese Vaclav nel suo perfetto italiano, avendo in passato dimorato a Roma, dove ha condotto parte delle ricerche sul compositore e illustre concittadino.
Il Boemo, una coproduzione italiana con Dugong Films, di cui è protagonista Vojtech Dyk, aprirà il 24 il Trieste Film Festival. In patria ha 11 nomination ai Lion Award, gli Oscar della Repubblica Ceca.
Il destino avverso di Myslivecek, quello dell’artista consacrato e poi caduto nell’oblio (lo ha vissuto uno dei padri della musica come Bach, fino alla riscoperta «romantica» grazie a Mendelssohn), si è consumato anche nella sua Praga. «E’ un simbolo di cui la Repubblica Ceca è fiera, ma in maniera superficiale, sarebbe meglio conoscere il suo destino e la sua musica. E’ un simbolo dimenticato, una bandiera vuota. Il mio film è diventato un evento culturale, ora vorrei ridargli una seconda vita in Europa», dice il regista.
Ecco l’incontro a Bologna tra il boemo e Wolfgang Amadeus Mozart, adolescente e ansioso di conoscerlo (l’ouverture di Mitridate, re di Ponto riprende un tema di La Nitteti del boemo) che lo assale di domande, e suo padre Leopold lo redarguisce, «ora basta, non hai il senso della misura». Leopold, il padre «imprenditore» del figlio, cercava di carpire i segreti del successo di Myslivecek presso le corti italiane. Prolifico, non fu un grande innovatore, rimase fedele alle convenzioni del teatro italiano, le assecondò mentre cominciava a non tirare più buon vento sull’opera seria su sfondi mitologici. C’era Metastasio dietro, e le trasfigurazioni musicali dei suoi versi. Ma stava bussando un nuovo mondo. «Aveva un innato senso teatrale, ed era un precursore della vita romantica: viaggiava, non si era sposato, era libero, ma limitato dal contesto sociale, dalla nobiltà per la quale scriveva la sua musica».
Prima di studiarlo, Petr Vaclav non sapeva niente di lui e del mondo dell’opera che adesso ama. «Ma ero attratto dall’estetica del ‘700». Ha girato per 40 giorni nei teatri italiani, ha voluto musica dal vivo (c’è il noto controtenore Philippe Jaroussky, direttore Václav Luks) e non in playback. «Spesso i film sull’opera hanno un tratto accademico, come se fosse un mondo lontano, con una narrazione troppo barocca e decorativa. Io invece ho voluto andare verso il realismo del ‘700, girando come un film sociale di oggi, con la camera a spalla e la luce naturale, usando le candele per le scene notturne». Le fonti sono le memorie di Casanova, Goldoni, Gozzi, Da Ponte, o le numerose lettere della famiglia Mozart.
Il film mostra come i compositori venissero corteggiati dall’aristocrazia, restandone però ai margini. Myslivecek si gettò con voluttà nei piaceri della carne, ebbe molte nobildonne «terrorizzate dalla noia», però non andavano oltre una notte di peccato.
Frequentò i bordelli, e si assiste a un’orgia benché Vaclav la infiocchetti di eleganza viscontiana. Era mangiato dall’ambizione, oltre che dalla sifilide? «Sì, lo era, ma non in un’accezione negativa. Era guidato dal fuoco artistico». Figlio di un mugnaio prosperoso, aveva servito il suo paese nella rovinosa guerra dei Sette anni con la Prussia (quella di Barry Lindon, per intenderci). «Partì senza passaporto, e senza avvisare la famiglia, sulla carrozza di un nobile diretto in Italia», che all’epoca era il Paradiso dell’arte e della musica. Un film del genere poggia le spalle sul suo protagonista. «Vojtech Dyk è anche musicista, ha la fisicità giusta e il giusto velo di malinconia>. Sotto la maschera c’è un uomo scorticato con la sua voglia di vivere e la sua musica che, come scriveva Mozart, «trasuda fuoco, spirito e vitalità».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
21 gennaio 2023 (modifica il 21 gennaio 2023 | 09:35)
© RIPRODUZIONE RISERVATA