Sono trascorsi trentatré anni da quando, alle 17.58 del 23 maggio 1992, Giovanni Brusca azionò il telecomando che provocò l’esplosione di mille kg di tritolo in un cunicolo di drenaggio sotto l’autostrada Palermo-Trapani. In quel tragico attentato vennero coinvolti il giudice Giovanni Falcone con la moglie Francesca Morvillo, l’autista giudiziario Giuseppe Costanza al volante della Fiat Croma bianca, mentre su quella marrone era alla guida Vito Schifani, con accanto l’agente scelto Antonio Montinaro e sul retro Rocco Dicillo; nella terza vettura azzurra Paolo Capuzza, Gaspare Cervello e Angelo Corbo. 

Solo gli occupanti della terza vettura e l’autista della Croma bianca si salvarono miracolosamente, insieme ad una ventina di persone che al momento dell’attentato si trovarono a transitare con le proprie autovetture sul luogo nei pressi di Capaci.  

“L’attacco feroce e sanguinario che la mafia compì trentatré anni or sono a Capaci, e che ripeté poche settimane più tardi in via D’Amelio a Palermo, costituisce una ferita tra le più profonde della nostra storia repubblicana” afferma il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, secondo cui “quelle tragedie generarono una riscossa della società e delle istituzioni. L’azione stragista svelò la minaccia alla libertà di ogni cittadino. Il contrasto alla mafia si intensificò fino a scardinare le posizioni di comando dell’organizzazione criminale”. “Nella memoria viva di Falcone e Borsellino – ricorda il capo dello Stato – il 23 maggio è diventata la Giornata della legalità, perché occorre tenere sempre alta la vigilanza, coinvolgendo le nuove generazioni nella responsabilità di costruire un futuro libero da costrizioni criminali”.

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