Il tumore al pancreas, di cui oggi ricorre la giornata internazionale, rimane tra le neoplasie che mettono più paura, al 4° posto come mortalità e il 6 per cento dei casi.
Secondo i dati più recenti presentati dall’Airc, nel 2022 sono stati stimati 14.500 nuovi casi in Italia. Il tasso di mortalità non si è modificato in modo significativo negli ultimi anni e quello del pancreas si attesta come il tumore con la minor sopravvivenza sia a un anno dalla diagnosi (34 per cento nell’uomo e 37,4 per cento nella donna) che a cinque anni (11 per cento nell’uomo e 12 per cento nella donna). Per molto tempo si è registrata una maggior prevalenza di questo tumore negli uomini, dovuta verosimilmente al loro maggiore consumo di sigarette rispetto alle donne, essendo il fumo un fattore di rischio importante.
Malattia oncologica ancora difficile da curare e che nel 70 per cento circa dei casi si sviluppa nella testa dell’organo, si manifesta quando alcune cellule, nella maggior parte dei casi le cellule di tipo duttale, si moltiplicano senza più controllo.
Tra i fattori di rischio, ricordano dal San Raffaele, correlati all’insorgenza del tumore, ci sono in primis l’invecchiamento e altri collegati come il fumo di sigaretta; le abitudini alimentari errate; l’abuso di alcool e la sedentarietà.
C’è inoltre un 10% della popolazione che risulta affetta da questa neoplasia che presenta una tara genetica che viene ereditata e che espone a un rischio, insieme ai fattori ambientali, molto più alto che nella popolazione generale.
I sintomi
l tumore del pancreas in fase precoce non dà segni particolari e, anche quando sono presenti, spiegano dall’Airc, si tratta di disturbi piuttosto vaghi, che possono essere interpretati in modo errato sia dai pazienti sia dai medici. Per questi motivi la diagnosi spesso arriva quando la malattia è già estesa.
Sintomi più chiari (variabili a seconda della zona del pancreas dove ha avuto inizio il tumore) compaiono quando il tumore ha cominciato a diffondersi agli organi vicini o ha bloccato i dotti biliari.
Possono così manifestarsi perdita di peso e di appetito, ittero (colorazione gialla degli occhi e della pelle), dolore alla parte superiore dell’addome o alla schiena, debolezza, nausea o vomito. Una percentuale di malati che va dal 10 al 20 per cento può essere colpita anche da diabete.
“All’inizio il dolore si presenta intermittente di solito ed è l’aggravamento della patologia ciò che di solito spinge il paziente a rivolgersi a uno specialista per sottoporsi agli accertamenti del caso – spiega Massimo Falconi responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgia del Pancreas e dei Trapianti dell’IRCCS Ospedale San Raffaele – Mentre l’ittero è qualcosa che va indagato nell’immediato, tutto il resto dei sintomi può essere confuso con una sintomatologia dispeptica addominale che porta, quindi, la persona a rivolgersi a diversi specialisti senza mai arrivare a una giusta conclusione.
Altro sintomo è la comparsa di un dimagrimento significativo nell’arco di poco tempo non giustificato da restrizioni dietetiche. Anche se il sintomo più distintivo e altamente sospetto per una diagnosi di carcinoma pancreatico è senza dubbio l’ittero, ingiallimento della cute e degli occhi che compare soprattutto se la neoplasia si localizza nella testa del pancreas.
C’è, inoltre, una situazione che si associa abbastanza spesso all’adenocarcinoma duttale, cioè l’insorgenza di un diabete non giustificato dal sovrappeso o da abitudini sbagliate che compare 1 anno prima del tumore. Il diabete si associa all’adenocarcinoma nel momento in cui il pancreas, funzionando meno bene in relazione alla secrezione di alcune sostanze, fa si che il soggetto diventi intollerante allo zucchero, si accorge di essere diabetico. I colleghi diabetologi, consci di questa associazione, suggeriscono di fare almeno un’ecografia in caso di nuova diagnosi di diabete anche se molto raramente rispetto alla popolazione di diabetici si scopre un adenocarcinoma”.
Diagnosi, evoluzione e cura
Quando c’è il sospetto di un tumore del pancreas si possono effettuare diversi esami per verificare se il dubbio sia fondato. Dall’Airc ricordano però che il tumore del pancreas non dà segni di sé fino a quando non ha raggiunto dimensioni notevoli o ostruisce i dotti biliari o vasi importanti. Ciò, insieme alla posizione e ai rapporti dell’organo con gli altri organi dell’addome, rende il tumore del pancreas una delle forme di neoplasia più difficili da diagnosticare in tempi utili e quindi da curare.
In una bassa percentuale di pazienti (20 per cento circa, cioè un paziente su cinque), però, la malattia viene identificata quando è ancora localizzata ed è quindi possibile procedere con l’asportazione chirurgica completa del tumore. L’intervento è complicato e gravato da rischi, e i risultati migliori si ottengono nei centri specializzati nella cura di questi tumori dove ogni anno viene eseguito un alto numero di operazioni di questo tipo.
L’intervento chirurgico è diverso a seconda della localizzazione del tumore. Per i tumori della testa del pancreas, il più comune è la cosiddetta procedura di Whipple che prevede l’asportazione in blocco della testa pancreatica, del duodeno, dell’ultima parte dello stomaco e della via biliare. In caso di tumori del corpo e della coda queste porzioni di pancreas vengono asportate in blocco con la milza, senza intaccare organi del tubo digerente.
Dopo l’intervento può essere necessario eseguire una chemioterapia, che rappresenta anche l’unica arma a disposizione, insieme alla radioterapia, per i tumori che non sono operabili. In casi selezionati si può ricorrere anche a una chemioterapia prima dell’intervento chirurgico, cosiddetta neoadiuvante.
Data la difficoltà di curare questa patologia, la ricerca sta attivamente cercando nuove soluzioni più efficaci e sicure. L’impegno del Consorzio internazionale sul genoma del cancro, con il contributo anche di ricercatori sostenuti da AIRC, ha portato al sequenziamento dell’intero genoma di migliaia di tumori, inclusi quelli del pancreas, identificando un ampio spettro di anomalie genetiche e molecolari. Queste nuove informazioni hanno permesso di identificare diversi sottotipi di cancro del pancreas sulla base del profilo genetico, ognuno con mutazioni peculiari che sono oggi oggetto di ulteriori studi e sperimentazioni. I dati prodotti hanno anche stimolato una intensa ricerca per identificare marcatori di diagnosi precoce nei soggetti più a rischio.
Alcuni farmaci a bersaglio molecolare sono già utilizzati nella terapia di alcuni sottotipi di cancro pancreatico: tra questi gli inibitori tirosin-chinasici come erlotinib. In presenza di mutazioni nei geni BRCA1 e BRCA2, l’inibitore di PARP olaparib potrebbe essere di aiuto come terapia di mantenimento per alcuni pazienti, ma al momento in Italia il farmaco non è ancora prescrivibile a carico del Servizio sanitario nazionale. Sono in corso inoltre sperimentazioni con farmaci immunoterapici (pembrolizumab), in grado di potenziare l’azione del sistema immunitario contro il tumore. Le terapie oggi disponibili in clinica spesso non sono risolutive, ma alcune hanno mostrato di allungare l’aspettativa di vita per diversi malati.
Sopravvivenza
Come spesso accade per molte altre patologie tumorali, la sopravvivenza dipende dallo stadio della malattia, spiegano dal San Raffaele. Un approccio strategico di un team, il miglioramento delle conoscenze oncologiche e quindi la disponibilità di farmaci più efficaci, o per lo meno di associazioni di farmaci più efficaci, ha cambiato notevolmente la prognosi di questa malattia in termini di aspettativa di vita nei vari stadi.
“Un malato metastatico che prima viveva 4-6 mesi, oggi vive nel 50% dei casi almeno 1 anno; un malato con una patologia localmente avanzata che prima viveva 10 mesi, oggi ne vive almeno 20; un paziente che viene sottoposto a intervento chirurgico e che prima viveva 16 mesi, oggi ne vive almeno 32. Purtroppo, però, l’unica cosa che non siamo riusciti ancora a cambiare è la percentuale di guarigione”, spiega il professor Massimo Falconi
I miglioramenti, anche se a piccoli passi, avvengono tutti i giorni. Per la prima volta, l’aspettativa di vita nella popolazione generale affetta da adenocarcinoma, mettendo insieme tutti gli stadi di malattia, è arrivata, nei paesi occidentali, al 12% di sopravvivenza a 5 anni, dato ancora molto deludente, ma significativo se pensiamo che fino a 10 anni fa era il 6-7%. In termini percentuali, è stato un miglioramento stravolgente, anche se purtroppo per aumentare le percentuali di pazienti guariti la strada è ancora molto lunga.
Un altro aspetto importante è che questa malattia sarà probabilmente destinata a essere, entro il 2030, la seconda causa di morte per neoplasia nel mondo occidentale. Quindi con una popolazione che invecchia, con un fattore di rischio molto influente, è probabile che assisteremo anche ad un aumento dei soggetti affetti da questa malattia”, conclude il professore.