Interrogato dal pm Paolo Storari e difeso dall’avvocato Mirko Perlino, Pietro Andrea Simoncini – uno dei due presunti esecutori materiali dell’omicidio Vittorio Boiocchi – ha rotto il silenzio e ha confessato di aver ucciso lo storico capo ultrà interista, morto sotto colpi di pistola il 29 ottobre 2022 sotto la sua casa a Milano. Le parole di Simoncini confermano, in sostanza, la ricostruzione dell’ormai collaboratore di giustizia ed ex leader della curva Nord Andrea Beretta, il quale ha ammesso di essere stato il mandante dell’uccisione per l’affare del merchandising e altri business.

Quella di Simoncini è la prima confessione che arriva dopo gli arresti dell’11 aprile scorso, nelle indagini della Squadra mobile della Polizia e della Dda milanese, che hanno approfondito quei verbali con le confessioni di Beretta per risolvere il cold case in uno dei filoni della maxi inchiesta sulle curve di San Siro. 

Simoncini, legato alla ‘Ndrangheta, ha confermato, nel verbale davanti al pm, che era lui alla guida dello scooter e che a sparare sarebbe stato Daniel D’Alessandro, detto “Bellebuono”, bloccato in Bulgaria dagli investigatori e poi estradato in Italia.

D’Alessandro, interrogato il 12 maggio dalla gip Daniela Cardamone e difeso dal legale Daniele Barelli, aveva scelto di non rispondere. Oltre a D’Alessandro e Simoncini, davanti alla giudice si erano avvalsi della facoltà di non rispondere tutti gli altri arrestati: Marco Ferdico, che era nel direttivo della Nord, e il padre Gianfranco – a cui Beretta presunto mandante, come messo a verbale, avrebbe dato 50mila euro per l’omicidio – e anche Cristian Ferrario, che si intestò lo scooter usato dagli esecutori.

Ora, dopo la confessione di Simoncini che cambia lo scenario delle difese, a stretto giro potrebbero arrivare anche quelle degli altri. 

Anche Marco Ferdico, uno degli ex capi del direttivo della Curva Nord interista, già in carcere da fine settembre nella maxi inchiesta milanese sulle curve di San Siro, ha confessato, da quanto si è appreso, il suo ruolo e le sue responsabilità nell’omicidio dello storico capo ultrà interista Vittorio Boiocchi.
Ammissioni, quelle di Ferdico, che, da quanto si è saputo, sono arrivate nei giorni scorsi, sempre davanti al pm della Dda milanese Paolo Storari nelle indagini della Squadra mobile della Polizia, e prima della confessione di ieri di Pietro Andrea Simoncini, uno dei due presunti esecutori materiali del delitto di quasi tre anni fa.
Ferdico era nel direttivo della Nord assieme ad Andrea Beretta, ora collaboratore di giustizia, e ad Antonio Bellocco, rampollo della famiglia di ‘ndrangheta, ucciso il 4 settembre scorso da Beretta. 

Daniel D’Alessandro, indicato da Simoncini come l’uomo che ha premuto il grilletto uccidendo Boiocchi, è ritenuto dalla Dda di Milano un criminale comune, esterno alle dinamiche delle curve (ma fratello della ex moglie di Marco Ferdico) e che, secondo l’accusa, sarebbe stato reclutato da Beretta, venuto a conoscenza della sua partecipazione alla “Faida delle Preserre” – una guerra fra le cosche scoppiata nel 1988 e mai conclusa nella provincia di Vibo Valentia e nei Comuni di Soriano Calabro, Sorianello, Gerocarne, Ariola. Il 41 enne sarebbe stato pagato 18mila euro: 15mila euro la cifra inizialmente pattuita a cui si sarebbero aggiunti altri 2-3mila euro per un primo tentativo di agguato, fallito a metà ottobre 2022, quando lo stesso sarebbe arrivato in Lombardia dalla Calabria una prima volta. 

L’omicidio di Vittorio Boiocchi del 29 ottobre infatti sarebbe dovuto avvenire con due settimane di anticipo: fu bloccato a seguito di una perquisizione condotta a casa di Ferdico dalle forze dell’ordine mentre indagavano su alcuni reati comuni. Episodio che spaventò gli indagati, convinti di essere monitorati, rallentando l’operazione. 

Ora le confessioni gettano nuove luce sulle faide fra gli ultras di Milano. Quella di Ferdico che, con il padre Gianfranco arrestato con lui ad aprile, è ritenuto l’uomo che si è occupato della ricerca delle “basi logistiche”, di un Fiat Ducato, dei cellulari criptati, potrebbe essere cruciale per individuare la pistola dell’omicidio, oltre ai moventi della faida e la stagione della scalata della ‘Ndrangheta alla curva Nord del Meazza, culminata nell’omicidio del 4 settembre 2024.

L’inchiesta della squadra mobile di Milano e Sisco della polizia di Stato ha portato anche all’arresto di Cristian Ferrario (l’uomo che si intestò e denunciò falsamente il furto del Piaggio Gilera utilizzato per la “stesa”), e a indagare sull’ultras interista Mauro Nepi, anche lui già a processo per associazione a delinquere.

 

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