È attesa per il 12 luglio la sentenza del processo di appello per morte di Serena Mollicone, il cui corpo venne ritrovato nel bosco di Fontecupa, nel comune di Fontana Liri, nel 2021. 

Oggi il pg ha concluso la requisitoria che era stata depositata nelle scorse settimane, chiedendo una condanna a 24 anni per il maresciallo Franco Mottola, a 22 per la moglie Annamaria e il figlio Marco.  

“Abbiamo valutato la possibilità che la condotta sia stata posta in essere solo da due componenti della famiglia e che il terzo si sia limitato ad assistere. In ogni caso questa persona dovrà rispondere di omicidio con condotta omissiva perché sapeva cosa stava avvenendo e non ha fatto nulla per salvare Serena. Ritengo che la povera Serena sia stata uccisa da tutti e tre i componenti della famiglia Mottola in concorso tra loro, Marco l’ha sbattuta contro la porta e tutti e tre l’hanno soffocata con il nastro adesivo”. Così il procuratore generale della corte d’Assise d’Appello di Roma, Francesco Piantoni e la sostituta, Deborah Landolfi.

Per gli altri due carabinieri imputati: è stata chiesta l’assoluzione per Vincenzo Quatrale, in quanto il suo comportamento non costituisce reato, e quattro anni per Francesco Suprano, che ha rinunciato alla prescrizione, per il quale è stata confermata l’accusa di favoreggiamento.

Il pg di Roma, concludendo il suo intervento, ha affermato che l’omicidio della 18enne riporta a quello di Marco Vannini, il giovane che fu ferito a morte a Ladispoli (Roma) da un colpo di pistola mentre era a casa della sua fidanzata, Martina Ciontoli, esploso dal padre di quest’ultima, Antonio Ciontoli. Il pg ha fatto riferimento all’obbligo di “garanzia e di protezione dei titolari dell’abitazione nei confronti di persone da loro ospitate che si trovino in pericolo di vita”.

La difesa: “Contro la famiglia Mottola una macchina del fango” 

“Chiedo che Franco Mottola venga assolto per non aver commesso il fatto”. Così l’avvocato Enrico Meta,  difensore dell’ex comandante della caserma di Arce, Franco Mottola, al termine della sua arringa difensiva nel processo di secondo grado, davanti alla prima Corte d’Assise d’Appello di Roma. “Avevo appena 13 anni quando l’omicidio di Serena Mollicone sconvolse  non solo tutti i ragazzi della mia età ma tutta la comunità della zona – ha detto il difensore -. Cresciuto da avvocato mi sono ritrovato a  trattare questo caso. Un aspetto che mi colpì tra il 2017 e il 2018 fu l’atteggiamento della famiglia Mottola che sollecitava l’inizio di un processo perché voleva vedere cambiare la sua posizione ibrida. Erano in un limbo ma in realtà vivevano un inferno da anni. Tutto ciò consapevoli di essere innocenti. Poi c’è stata la sentenza di assoluzione anche se lo stesso giorno sono stati oggetto di una vile aggressione. Un’aggressione frutto della macchina del fango che si era attivata nei loro confronti. Siamo qui per rendere giustizia a Serena  ma anche agli imputati che hanno subito la macchina del fango”. “Anche io mi ero fatto un’idea diversa ma poi leggendo gli atti ho visto le granitiche certezze contenute nelle informative sgretolarsi”, ha aggiunto.

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