Moussa Sangare, il 30enne che ha confessato l’omicidio di Sharon Verzeni, è stato trasferito “per ragioni di incolumità” nel carcere milanese di San Vittore. Lo apprende l’agenzia LaPresse da fonti qualificate. Il giovane, portato in un primo momento nel carcere di Bergamo, è stato bersaglio di altri detenuti che hanno lanciato bombolette incendiate.
Nelle ultime ore così Sangare aveva descritto gli istanti antecedenti all’accoltellamento di Terno d’Isola, nella Bergamasca: “Ho incrociato la ragazza prima da davanti. Non aveva la borsa; portava gli occhiali, avrei detto che avesse i capelli biondi; indossava jeans e aveva le cuffiette nelle orecchie. A quel punto l’ho seguita da dietro, l’ho toccata sulla spalla con la mano sinistra e le ho detto ‘scusa per quello che sta per accadere’ “.
Come riportano alcuni quotidiani, il killer reo confesso ha messo a verbale durante l’interrogatorio di convalida davanti al gip di Bergamo Raffaella Mascarino che la ragazza ha urlato, “Perchè? Sei un codardo, sei un bastardo!”. ”Poi – ha aggiunto Sangare – ho ripreso la bici e velocemente mi sono allontanato“. Il 30enne è stato trovato con in tasca un foglietto scritto appena con appunti riguardanti un omicidio commesso da un nigeriano di nome Moses a Venezia nel 2021. “Non so perché avessi quel biglietto – ha detto – ero interessato a questa notizia. Guardo polizieschi e sono interessato a casi dove l’assassino utilizza coltelli“.
“Ho avuto un raptus improvviso – aveva spiegato l’uomo subito dopo il fermo -. Non so spiegare perché sia successo, l’ho vista e l’ho uccisa“. Un movente inesistente che farebbe pensare a un disturbo di tipo psichico. Ma “lo stato mentale” di Sangare “è integro” ha scritto il gip nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere.
I medici che hanno visitato Sangare nel reparto di psichiatria, appena è entrato nel carcere di via Gleno, hanno dichiarato che “non è affetto da una traccia patologia psichiatrica né remota né recente”.
Non è stato rilevato nessun consumo di alcolici né droghe; quindi si tratterebbe di un’aggressione e un omicidio commessi “nella più totale assenza di qualche comprensibile motivazione, in maniera del tutto casuale, assolutamente gratuita, per non dire addirittura capricciosa” scrive la gip del tribunale di Bergamo.
“Si è fermato, ha fatto degli apprezzamenti sulla mia maglietta e poi, andando via, ci ha mostrato il coltello“. Ha confermato quanto è emerso dagli atti dell’indagine della Procura di Bergamo sull’omicidio di Sharon Verzeni, uno dei due minorenni identificati dai carabinieri che sono stati minacciati da Moussa Sangare, ora in carcere per omicidio aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi per aver ucciso la barista di Terno d’Isola. I due ragazzini, uno sentito oggi e l’altro convocato nei prossimi giorni, sono di Chignolo d’Isola, comune limitrofo a quello dove Sharon, nella notte tra il 29 e il 30 luglio scorsi, è stata accoltellata: quella sera erano per strada e si sono imbattuti in Sangare.
Alla ricerca della vittima “più vulnerabile”
L’omicida reo confesso stava girovagando alla ricerca della vittima “più vulnerabile”: in 35-40 minuti, ricostruiscono gli atti, aveva adocchiato un uomo fermo in auto in un parcheggio con un pc, un altro chiamato “il pelato”, un altro ancora che camminava con una sigaretta, e poi i due quindicenni. Che ha minacciato, mostrando l’arma con cui poi ha colpito, quasi come una sorta di ‘prova’, una statua. Ci sono stati anche questi due ragazzini tra le sue potenziali vittime e la scelta è ricaduta poi “sul bersaglio giusto”, una donna “intenta a guardare le stelle” mentre ascoltava la musica con le cuffiette, “nella più totale assenza di qualche comprensibile motivazione – osserva la gip Raffaella Mascarino, nel provvedimento con cui ha convalidato il fermo e disposto il carcere per il 30enne – in maniera del tutto casuale, assolutamente gratuita per non dire addirittura capricciosa“.
“Una sensazione che non so spiegare”
Poche ore prima Mascarino aveva interrogato Sangare nel carcere di Bergamo: aveva confermato le dichiarazioni già rese ai Carabinieri, ribadendo “non so il perché l’ho fatto“. Sangare, come ha riferito il suo legale Giacomo May, ha detto alla giudice di essere uscito di casa con questa “sensazione che non so spiegare” e che lo ha spinto “a voler fare del male“. Inoltre ha detto che nei giorni prima aveva fatto una sorta di esercitazione con una statua.
L’avvocato ha spiegato che il suo assistito, invece di limitarsi a confermare le dichiarazioni già rese al momento del fermo ha voluto ripercorrere di nuovo quanto è accaduto “per dimostrare il suo atteggiamento collaborativo“. Per circa un’ora e mezza, il tempo dell’interrogatorio al netto delle formalità, ha parlato al giudice Mascarino di un “mood” o un “feeling” che lo ha spinto poi ad accoltellare Sharon, salvo poi dire che “non era uscito di casa con l’obiettivo di uccidere qualcuno“.
Ha ammesso di fare uso di droga (ma non la sera dell’omicidio) e ha ricostruito come due giorni dopo il delitto ha realizzato quel che aveva fatto e si è “liberato” del coltello. Gli altri coltelli li ha gettati nei giorni successivi, quando ha tra l’altro modificato il manubrio della bicicletta. Ha inoltre detto che si manteneva con entrate saltuarie per via di qualche lavoretto nel campo musicale e che “non ha mai pensato di fuggire“. Anche oggi i suoi discorsi sono stati definiti “sconnessi”, spesso si è interrotto chiedendo di ripetere la domanda, il suo racconto è sembrato molto confuso, cosa che dovrebbe portare o a una richiesta di consulenza psichiatrica o di una perizia.
Nel primo pomeriggio, alla presenza dello stesso May, i militari del Reparto investigazioni scientifiche (Ris) hanno effettuato un nuovo sopralluogo nell’abitazione dove viveva Sangare a Suisio, pochi chilometri in linea d’aria da Terno.
Le parole della sorella Awa
“Ho avuto paura di morire anche io. Mio fratello ha tentato di uccidermi. Quello che ha fatto a Sharon poteva succedere a me. Ne sono convinta“. Ad affermarlo al Corriere della Sera è Awa, sorella di Moussa Sangare, il 30enne che ha confessato il delitto di Sharon Verzeni. “È stata un’escalation – dice – Io e mia madre Kadiatou abbiamo fatto di tutto per aiutarlo. Non volevamo credere a quello che ha confessato. Con mamma siamo scoppiate in lacrime. Forse però se ci avessero ascoltate Sharon sarebbe ancora viva. Il nostro pensiero va a lei e alla sua famiglia“.
La famiglia aveva denunciato la violenza di Moussa tre volte: “La prima nel 2023, l’ultima a maggio. Danneggiamenti, violenza domestica, maltrattamenti. Eravamo in pericolo. Nessuno si è mosso. Sia io sia il mio avvocato abbiamo scritto al sindaco, agli assistenti sociali. I segnali c’erano tutti. Volevamo aiutarlo a liberarsi dalla dipendenza. Ci abbiamo provato: hanno detto che doveva essere lui a presentarsi volontariamente. Non lo ha fatto“.
Il giovane era cambiato “dal suo ritorno dall’estero. Nel 2019. Moussa ci ha detto che aveva fatto uso di droghe sintetiche. Non era più lui“. Era violento: “Per qualche anno abbiamo tentato di contenerlo. Nel 2023, ad aprile, mia mamma ha avuto un ictus. La situazione è degenerata: quella notte ha tentato di buttare giù la porta. Voleva i soldi. Tre mesi dopo ha aperto il gas, incendiando la cucina“. A novembre “mi ha minacciato con parole pesanti. Mi ha detto ‘Ti ammazzo’, mi ha gettato oggetti addosso. Abbiamo chiesto aiuto ai servizi sociali e al sindaco. Siamo state lasciate sole“.
“Il 9 maggio scorso mi ha puntato contro un coltello, prendendomi alle spalle. Ero in cucina, ascoltavo musica con le cuffie. È scattato il codice rosso e il suo allontanamento. Abbiamo scoperto che aveva occupato la casa al piano terra. Non è stato fatto nulla. Forse un accertamento sanitario andava richiesto. Nessuno si è presentato, nessuno ha controllato”.