È incostituzionale vietare il riconoscimento di un figlio, nato in Italia grazie alla procreazione medicalmente assistita (PMA) praticata all’estero, da parte di entrambe le madri di una coppia omosessuale.
Riconoscere come madre solo la donna che ha partorito e non la cosiddetta madre intenzionale, che ha prestato il consenso alla pratica fecondativa, viola gli articoli 2, 3 e 30 della Costituzione.
Lo ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza numero 68, depositata oggi, che ha ritenuto “fondate” le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Lucca. “L’articolo 8 della legge sulla fecondazione assistita, la numero 40 del 2004, è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che anche il nato in Italia da donna che ha fatto ricorso all’estero, in osservanza delle norme ivi vigenti, a tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) abbia lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che, del pari, ha espresso il preventivo consenso al ricorso alle tecniche medesime e alla correlata assunzione di responsabilità genitoriale”, si legge nel comunicato della Consulta.
“La Corte, dopo aver precisato che la questione non attiene alle condizioni che legittimano l’accesso alla PMA in Italia – viene spiegato nella nota – ha ritenuto che l’attuale impedimento al nato in Italia di ottenere fin dalla nascita lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che ha prestato il consenso alla pratica fecondativa all’estero insieme alla madre biologica non garantisca il miglior interesse del minore e costituisca violazione: dell’articolo 2 della Costituzione, per la lesione dell’identità personale del nato e del suo diritto a vedersi riconosciuto sin dalla nascita uno stato giuridico certo e stabile; dell’articolo 3 della Costituzione, per la irragionevolezza dell’attuale disciplina che non trova giustificazione in assenza di un contro interesse di rango costituzionale; dell’articolo 30 della Costituzione, perché lede i diritti del minore a vedersi riconosciuti, sin dalla nascita e nei confronti di entrambi i genitori, i diritti connessi alla responsabilità genitoriale e ai conseguenti obblighi nei confronti dei figli”.
Inoltre, “la dichiarazione di illegittimità costituzionale si fonda su due rilievi: la responsabilità che deriva dall’impegno comune che una coppia si assume nel momento in cui decide di ricorrere alla PMA per generare un figlio, impegno dal quale, una volta assunto, nessuno dei due genitori, e in particolare la cosiddetta madre intenzionale, può sottrarsi; la centralità dell’interesse del minore a che l’insieme dei diritti che egli vanta nei confronti dei genitori valga, oltre che nei confronti della madre biologica, nei confronti della madre intenzionale”, osserva la Consulta.
“Dalla considerazione di questi fondamenti discende che il mancato riconoscimento fin dalla nascita dello stato di figlio di entrambi i genitori lede il diritto all’identità personale del minore e pregiudica sia l’effettività del suo «diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni» sia il suo «diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale»”, conclude la
La questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Lucca
Nel 2024 il Tribunale di Lucca aveva rinviato alla Corte Costituzionale la questione del riconoscimento dei bambini nati in Italia e concepiti all’estero tramite fecondazione eterologa come figli di due madri. Un caso era stato già sollevato nel 2023 dopo che la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lucca, aveva presentato una richiesta di rettifica dell’atto di nascita di un minore chiedendo di cancellare la “madre intenzionale”.
Secondo i rilievi presentati dal Tribunale, in merito alla questione di legittimità, il quadro normativo e giurisprudenziale esistente determina una lesione di diritti costituzionalmente garantiti, in particolare – veniva rilevato nell’ordinanza – risulterebbe violato un articolo per quanto attiene l’ “uguaglianza formale”, che impone che il nato a seguito del percorso di Pma intrapreso da una coppia di due donne non sia discriminato dalla legge, e per quanto riguarda la cosiddetta “uguaglianza sostanziale” non sia impedita la piena tutela.
Rete Lenford: la sentenza cambia la vita di tante madri
“E’ stato affermato un principio di civiltà giuridica nell’interesse di tutti i bambini contro una cultura legata a un unico modello di famiglia. E’ una sentenza storica che cambia la vita di tutte le donne che, con le compagne o le mogli, vogliono avere un figlio perché non dovranno più sottoporsi all’umiliante procedura di adozione. Tutte le impugnazioni della procura e del ministero dell’Interno che intasano i tribunali cadranno perché i sindaci hanno correttamente dato tutela con i riconoscimenti all’anagrafe”. Così all’ agenzia Ansa Vincenzo Miri, presidente Rete Lenford, avvocato che ha assistito le due mamme che hanno fatto il ricorso.
Le mamme di Lucca festeggiano: “Felici, non pensavamo di essere le prime”
“Emozionate, commosse, felici. Non pensavamo che saremmo state le prime”. Glenda e Isabella, sposate e mamme di una bambina di tre anni e uno di due, oggi festeggiano la sentenza della Consulta con cui viene dichiarato incostituzionale il divieto per la madre intenzionale di riconoscere come proprio il figlio nato in Italia da procreazione medicalmente assistita (pma) legittimamente praticata all’estero. Una figlia riconosciuta, l’altro no perché nato il 3 aprile 2023, un mese dopo la circolare del ministro dell’Interno Piantedosi, primo caso a Lucca che ne vietava il riconoscimento. Inaccettabile per le due mamme.
“Abbiamo avuto dei timori – spiega Isabella, mentre è subissata di messaggi di auguri da parte di parenti e amici – Da un punto di vista sanitario perché io sono la madre intenzionale e se ci sono solo io con il piccolo non vengo riconosciuta dal personale sanitario; a livello successorio nel caso in cui venisse a mancare la madre biologica, ma anche nel caso in cui la coppia dovesse decidere di separarsi. Non abbiamo mai incontrato alcuna ostilità, ma anche banalmente prendere mio figlio a scuola avrebbe potuto rappresentare un problema. È stato un calvario ma ne è valsa la pena”.