Sono in corso all’ospedale Brotzu di Cagliari le autopsie su tre delle cinque vittime della strage familiare avvenuta a Nuoro mercoledì scorso. Il medico legale Roberto Demontis, incaricato dalla Procura, dovrebbe completare in serata l’esame autoptico sui corpi dell’omicida, l’operaio forestale Roberto Gleboni, 52 anni, e su quelli della moglie Giusi Mussetti, 43 anni, e della figlia Martina 26 anni, alle quali l’uomo ha sparato alla testa prima di togliersi la vita nello stesso modo.
Il 29 settembre sono previste le autopsie sul figlio minore, Francesco, 10 anni, e sul vicino di casa Paolo Sanna, 69 anni, colpito a morte da Gleboni che l’aveva incrociato nel pianerottolo della palazzina di via Ichnusa dopo lo sterminio della famiglia. Entrambi sono deceduti in ospedale fra mercoledì e giovedì.
Secondo le prime indiscrezioni sembra che l’uomo abbia sparato quattro colpi di pistola contro sua moglie, due alla tempia e due al torace, uno solo, fatale, per Martina, uno per Paolo Sanna, il vicino ammazzato per caso, perché per una tragica fatalità si trovava sul pianerottolo mentre il 52enne Roberto Gleboni passava con la pistola, diretto a casa di sua madre dopo aver sterminato la sua famiglia.
Dopo aver ucciso moglie e figli, l’operaio ha percorso circa quattro chilometri in macchina per raggiungere la casa della madre Maria Esterina Riccardi, 83 anni, alla quale ha sparato prima di togliersi la vita. La donna, ora fuori pericolo, è ancora ricoverata all’ospedale San Francesco di Nuoro, ma ancora non può essere sentita dagli investigatori.
Quella mattina, con la pistola 7,65 che deteneva regolarmente, Glebone ha sparato quasi due caricatori da 12 colpi ciascuno, mirando alla testa delle sue vittime, segno inequivocabile della volontà di ucciderle e di non lasciare nessuno dietro di sé. Si è salvato il fratello Antonio, che viveva con la madre, solo perché in quel momento non era in casa; era uscito presto.
La testimonianza dell’unico sopravvissuto il figlio 14enne: “Urlavano tutti”
Ferito al volto in modo non grave: dopo essere stato colpito dal padre, l’adolescente è rimasto immobile al letto, per poi alzarsi solo dopo che questi era andato via. È stato lui ad aprire alle forze dell’ordine arrivate in casa dopo l’allarme: “Urlavano tutti“, ha detto il ragazzino ai primi soccorritori, mentre veniva accompagnato in ospedale, dov’è tuttora ricoverato e dove ieri è stato sentito dagli investigatori in modalità protetta.
Il suo racconto ha consentito di ricostruire gli avvenimenti della sera precedente e della mattina della strage, ma restano ancora senza risposta le domande su cosa abbia spinto Glebone a sterminare la famiglia. Carabinieri e polizia le cercano nell’esame di telefonini e pc; negli accertamenti patrimoniali, per verificare eventuali difficoltà economiche della famiglia; nelle cartelle sanitarie, che potrebbero rivelare eventuali problemi di salute dei componenti; e nelle testimonianze di congiunti e conoscenti, nell’ipotesi di conflitti di coppia, al di là della reputazione di famiglia unita e solida che sembrava circondare i Glebone.
Gli esami tossicologici sull’operaio, invece, potranno fornire indicazioni sul suo stato al momento dei delitti, ma ci vorrà tempo prima di avere i risultati. Dalle testimonianze finora raccolte dagli investigatori non traspaiono situazioni critiche, ma la figura dell’omicida, che non s’intendeva con la famiglia della moglie, è stata descritta da alcuni come opprimente e con la mania del controllo.