Le autorità giudiziarie francesi hanno prorogato la detenzione del fondatore di Telegram, Pavel Durov, dopo il suo arresto in un aeroporto di Parigi per presunti reati legati all’app di messaggistica: lo riporta il Guardian, che cita una fonte vicina alle indagini.
Il 39enne franco-russo potrà essere detenuto adesso per un massimo di 96 ore. A quel punto il giudice può decidere di liberarlo oppure di sporgere denuncia e rinviarlo in custodia cautelare.
Telegram si difende: “Ci atteniamo alle leggi Ue”
Con un post sul social network X, Telegram si è difeso dalle accuse chiarendo che la piattaforma “si attiene alle leggi dell’Ue, inclusa la Legge sui Servizi Digitali (Digital Services Act), e la sua moderazione è conforme agli standard del settore e in costante miglioramento”. Durov “non ha nulla da nascondere e viaggia frequentemente in Europa”, continua il post su X.
“È assurdo affermare che una piattaforma o il suo proprietario siano responsabili per l’abuso di quella piattaforma. Quasi un miliardo di utenti in tutto il mondo utilizza Telegram come mezzo di comunicazione e come fonte di informazioni vitali”, prosegue la compagnia, aggiungendo che si attende “una pronta risoluzione di questa situazione”.
Quale scenario si apre ora?
Dal punto di vista organizzativo, “ci si può aspettare che per ora tutto continui normalmente, afferma Elies Campo, che ha diretto la crescita, il business e le partnership di Telegram dal 2015 al 2021, citato da Wired. “Esiste un’organizzazione e ha il suo slancio”, dice, aggiungendo che “il personale è abbastanza contenuto, circa 60 dipendenti, da non influenzare l’infrastruttura”.
Il problema “sorgerebbe se Durov dovesse essere fisicamente presente per pagare i fornitori”, aggiunge Campo. “Cosa succederà quando andranno fatti pagamenti ai fornitori delle infrastrutture o di connettività, e lui è ancora in stato di arresto?”.
Possibile una fuoriuscita di utenti?
Se viene maturata l’idea che i dati degli utenti non siano più al sicuro, potrebbe verificarsi una fuoriuscita di utenti dall’applicazione stessa.
I media russi parlano di un certo numero di funzionari governativi, delle forze di sicurezza e dell’amministrazione presidenziale russa che avrebbero ricevuto istruzioni per rimuovere la loro corrispondenza ufficiale da Telegram. La pubblicazione russa Baza, diffusa via Telegram e ripresa dai media internazionali, sostiene che questa istruzione sia stata impartita ad alti funzionari del Ministero della Difesa russo, nonché ad alcuni grandi uomini d’affari.
Allo stesso tempo, alcuni funzionari intervistati – riporta Baza – hanno affermato di non aver ricevuto istruzioni per cancellare la corrispondenza. Tuttavia, si aspettano tali istruzioni dai loro superiori fra lunedì e martedì.
Sempre su Telegram Sergej Markov, già consigliere di Putin ha scritto: “Presumibilmente, i funzionari russi hanno già ricevuto l’ordine di cancellare tutta la loro corrispondenza ufficiale segreta su Telegram. Anche se non hai ancora ricevuto un ordine, è ragionevole impartirlo”.
Non è un mistero che Telegram avesse sin dal principio della sua esistenza la possibilità di inviare messaggi crittografati. E l’uso di Telegram da parte dell’esercito russo in Ucraina è un dato di fatto, anzi il principale mezzo di comunicazione.
La piattaforma potrebbe consegnare i dati?
“La detenzione di Pavel sta chiaramente allarmando molti utenti di Telegram, che si domandano quale sia la privacy di ciò che hanno detto in passato e chi potrebbe essere in grado di accedervi”, scrive su X John Scott-Railton, ricercatore al Citizen Lab dell’università di Toronto.
Telegram è spesso visto come un “sistema di messagistica crittografato, ma per molti utenti non lo è, dato che la maggior parte delle funzionalità non sono crittografate end-to-end di default, ma solo quando richiesto”. Questo significa che dei dati non crittografati end-to-end la piattaforma “ha le chiavi e potrebbe tecnicamente essere costretto a moderare e fornire ai governi l’accesso all’attività di quell’utente”.
Da parte sua la piattaforma spiega che i dati non coperti dalla crittografia end-to-end sono protetti da un’infrastruttura ideata in modo da rendere complicato forzare la società a consegnarli: “I dati delle chat cloud”, spiega Telegram, “sono distribuiti su più datacenter attorno al globo, controllati da differenti entità legali che a loro volta sono distribuite sotto diverse giurisdizioni. Le relative chiavi di decriptazione sono divise in parti e non sono mai tenute insieme ai dati che proteggono. Come risultato, per forzarci a consegnare qualsiasi dato sono necessari parecchi ordini dai tribunali di diverse giurisdizioni”.