Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca semina il panico nelle borse europee che sono in forte ribasso, al contrario di Wall street che cresce. Ed è questa differenza a definire lo spartiacque delle reazioni tra Vecchio e Nuovo continente. 

Ci sono, ovviamente, i posizionamenti “politici”, con le destre europee come quella rappresentata da Orban o in Italia da Lega e Fratelli d’Italia che plaudono all’en plein repubblicano: Presidenza, Congresso, Senato e Corte suprema

Ma la preoccupazione di tutti è legata allo spettro della politica economica neo-protezionista di Trump. La parola “dazi” è quella che fa più paura
Per un Vecchio continente in crisi, l’ipotesi di maggiori difficoltà nell’export verso gli Stati Uniti rischia di far precipitare un’economia che già stenta e che, in alcuni Stati, tra cui l’Italia, perderà presto anche la “benzina” rappresentata dai fondi del Pnnr. La strategia trumpiana del primo mandato preoccupa perché il tycoon preferisce avere come interlocutori i singoli Stati e non il “moloch” europeo. Ursula von der Leyen lo sa e i suoi auguri di buon lavoro sono rapidi. 

 

Per quanto riguarda l’Italia, un jolly da spendere ce l’ha Giorgia Meloni, che ha da una parte ottimi rapporti con Elon Musk, principale sostenitore anche economico del 47esimo Presidente, e dall’altra guida un partito che è gemellato, grazie ai Conservatori europei, con i Repubblicani americani. L’altro jolly è di Matteo Salvini che sin dall’inizio non solo ha scommesso su The Donald ma non ha mai nascosto di esserne suo “ammiratore”.

Dalle opposizioni invece prevalgono le preoccupazioni. 

“Chi festeggia oggi poi dovrà prendere atto delle politiche protezioniste di Trump”, dice Elly Schlein – e sulle stesse posizioni sono anche Calenda, Magi e Bonelli. A esprimere auguri più sinceri è invece Giuseppe Conte che immagina, con Trump, una rapida conclusione dei conflitti in atto in Ucraina e Medioriente.

Elly Schlein, segretaria Pd (rainews)

Altro scenario è quello della sanguinosa guerra in Medio Oriente

Gli auguri di Netanyahu sono quelli più entusiasti in assoluto. Risuonano ancora le parole di Trump quando disse che Israele faceva bene a invadere Gaza, anche se disse “deve fare in fretta” – una quasi carta bianca al leader israeliano contro Hamas. Del resto a Trump non dispiace affatto l’idea di un amico stretto israeliano – diverse le bandiere di Israele l’altra sera a Mar-a-lago – capace di tenere a bada anche l’Iran. Facile immaginare che la nuova amministrazione americana non insisterà come la precedente sul rispetto del diritto internazionale e tralascerà di chiedere la riduzione delle vittime civili.

Le preoccupazioni non sono dell’Europa ma anche delle istituzioni europee e internazionali. 

La Nato, soprattutto. L’Alleanza atlantica, mai messa in dubbio da Trump, viene vista però come una istituzione da riformare e da finanziare in modo diverso – a carico soprattutto dei Paesi europei. Inoltre alcune scelte della presidenza Biden sono state spesso contestate da Trump. Una su tutte la scelta di finanziare pesantemente l’Ucraina, per bloccare l’invasione della Russia. Questo preoccupa Wolodymyr Zelensky

Le dichiarazioni di Trump durante la campagna elettorale fanno immaginare un cambio nella politica estera statunitense. Ed è anche per questo motivo che i segnali che arrivano dal Cremlino – sebbene non sia in agenda una telefonata Putin-Trump – sono comunque di cauta apertura. Anche se non è in vista alcuno stop alle ostilità. E sarà probabilmente così almeno fino all’insediamento di Trump del prossimo gennaio.

Xi Jinping Vladimir Putin

Xi Jinping Vladimir Putin (LaPresse)

Infine la Cina

Per Trump è la Cina e non la Russia il “nemico” economico principale. Quello che rischia di mettere in ginocchio l’economia americana, grazie alle sue capacità di investimento e al ruolo di leadership che, a tutti gli effetti, detiene nel gruppo Brics: Trump lo vede come un forza economica capace di contrastare la leadership statunitense. E dunque l’annunciata politica di dazi colpirà senza dubbio e principalmente la Cina.  

Le prime reazioni di Pechino sembrano annunciare peraltro un’ottica di non aggressione verso la nuova America di Trump. Tra le righe, sembra leggersi l’idea che “ognuno si occupi delle aree del mondo in cui è leader”, evitando così uno scontro diretto. Resta aperta la spinosa situazione di Taiwan su cui Trump non sarà mai disposto a cedere.

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