Joe Dante, con budget contenuto, celebrava a suo modo il tramonto della stagione dei b-movies
Trent’anni fa, il 29 gennaio 1993, usciva nelle sale americane l’ormai dimenticato «Matinee», un piccolo film-omaggio dal budget contenuto con cui Joe Dante celebrava a suo modo, oltre al tramonto della gloriosa stagione dei B-Movies anni Cinquanta e dei suoi eroi-pionieri anche un altro trentennale ben radicato nella memoria collettiva americana della cosiddetta “guerra fredda”: quello della Crisi dei Missili di Cuba, che nell’ottobre del 1962 portò il mondo sull’orlo del conflitto nucleare quando la tensione fra gli Stati Uniti di John Fitzgerald Kennedy e l’Unione Sovietica di Nikita Chruščëv, dopo un incontro segreto di quest’ultimo con Fidel Castro, salì alle stelle a causa del dislocamento di armi balistiche russe a Cuba in risposta a quello operato dagli Usa nelle basi italiane, turche e britanniche. Key West, Florida, ottobre 1962.
Mentre loro padre presta servizio su un sottomarino della Marina statunitense, il fratelli Gene (Simon Fenton) e Dennis Loomis (Jesse Lee) vivono in una base militare con la madre Anne (Lucinda Jenney). Appassionati di cinema di serie C, restano folgorati dalle immagini di “Mant!”, un film di fantascienza del produttore Lawrence Woolsey (John Goodman) in cui una mutazione -indotta dalle radiazioni atomiche- trasforma un uomo in una formica gigante, la cui “prima” si terrà il sabato successivo alla presenza di Woolsey in persona. Mentre alla tv passa il discorso del presidente Kennedy che conferma la presenza di missili sovietici a Cuba, Woolsey raggiunge la Florida con la compagna, l’attrice Ruth Corday (Cathy Moriarty) e due suoi attori , Herb (Dick Miller) e Bob (John Sayles), in qualche misura elettrizzato dall’atmosfera di terrore instillata nella popolazione dalla crisi in corso, che ritiene psicologicamente perfetta per la promozione del suo film.
E mentre Gene s’infatua della malvista compagna di scuola liberal in erba Sandra (Lisa Jakub) e il suo amico Stan (Omri Katz) patisce una cotta per la bella Sherry (Kellie Martin) contrastata dall’ex della ragazza, il teddyboy balordo Harvey (James Villemaire), Woolsey prepara di gran carriera il matinée di première del suo “capolavoro”: assume proprio Harvey per presentarsi in sala durante la proiezione truccato come il mostruoso protagonista del film e fa installare nelle poltrone del cinema dei dispositivi vibranti da attivare nei momenti di tensione della pellicola per cogliere di sorpresa gli spettatori con un effetto shock (che ha battezzato “RumbleRama”) malgrado Il direttore della sala, Howard (Robert Picardo), lo abbia messo in in guardia dai potenziali effetti devastanti della trovata sulla vecchia e fragile balconata. Il giorno della “prima”, quasi nulla andrà come previsto: ma l’atmosfera di catastrofe locale parallela a quella globale sarà pane per i denti del visionario Woolsey.
Grazie al successo planetario dello spielberghiano “Gremlins” (1984), il regista Joe Dante era stato proiettato circa un decennio prima nell’olimpo dei registi “da blockbuster” (e come tale ormai accolto da buona parte della critica, sempre spiazzata dalle sue scelte registiche successive che non di rado gli erano costate anche brucianti flop al botteghino): la sua vera anima visiva e “politica”, però, aveva radici ben salde proprio nella tradizione del “vecchio” cinema di genere a basso costo, quello delle produzioni fantascientifiche, western o horror dai titoli la cui altisonanza era direttamente proporzionale alla loro scarsità di mezzi, quello degli eroi minori della Settima Arte in stile Ed Wood, William Castle e Roger Corman (di cui fu adorante discepolo alla “bottega” della gloriosa New World Pictures). Tutta la sua filmografia fino a quel momento (dall’esordio “Piraña”, 1978, a “L’ululato”, 1981; dal fallimento “Explorers”, 1985, a “Salto nel buio”, 1987, con un capolavoro misconosciuto come “L’erba del vicino”, 1989, come apice) era stata informata da quella estetica, da quel sentire, da quella concezione del Cinema fors’anche a scartamento ridotto rispetto alla normatività hollywoodiana, ma proprio per questo capace di farsi gesto “antagonista” dall’interno, oltreché di garantire, per chi fosse stato disposto a coglierla, una forma di salvaguardia d’innocenza (di sguardo, d’ideologia e di prassi) che il decennio in cui fu più attivo (i famigerati Eighties) aveva tentato in ogni modo di spazzare via. Ispirato proprio alla leggendaria figura di William Castle (produttore e regista di inarrivabile, sublime e “illuminata” cialtroneria noto più che per i suoi film per i bizzarri mezzi con cui li promuoveva in prima persona), “Matinee” è in questo senso una summa di tutto il cinema di un autore straordinario a cui le leggi del mercato hanno progressivamente imposto una ingiusta e troppo prolungata sordina.
Vive di un profluvio ininterrotto di citazioni: musicali (nella colonna sonora di Jerry Goldsmith aleggiano anche i temi musicali -arrangiati da Dick Jacobs- di almeno una decina di famosissimi B-movie, da “Il mostro della laguna nera” a scendere), metatestuali (il “RumbleRama” è un omaggio di Dante ai fantasiosi e circensi sistemi dai nomi bizzarri -come “Emergo” o “Percepto”- con cui William Castle presentava i suoi prodotti; il ridicolo “duck and cover”, inefficace rimedio antinucleare su cui l’attivista ante litteram Sandra ha da ridire era stato già stato stigmatizzato ironicamente con documenti di repertorio da “The Atomic Cafe”, 1982, di Loader & Rafferty) e ovviamente cinefile (la trama del fittizio “Mant!” è un patchwork di “Tarantola” di Jack Arnold, “Assalto alla Terra” di Gordon Douglas, “L’esperimento del dottor K” di Kurt Neumann; ma ci sono strizzate d’occhio sparse ai live action Disney, ai cartoon Warner dei Looney Tunes, ai fumetti Marvel…); e il cast, capitanato da un John Goodman in forma strepitosa (ma attenzione alle sequenze con la straordinaria e sempre sottostimata Moriarty), è in complice sintonia con gli intenti di Dante. Che con “Matinee” riuscì (inascoltato: ebbe scarsi risultati commerciali globali) non solo a sottolineare con leggerezza e profondità e uno sguardo ad altezza di adolescente come il mondo degli “adulti” sia un concentrato di fobie decisamente meno tranquillizzante delle innocue “paure” del Cinema, ma anche, con impareggiabile lucidità ideologica, a descrivere meglio di chiunque altro la necessità di consumo globale ed esorcizzante di quel grande “film” che, nell’epoca in cui “Matinee” è ambientato, la realtà stessa era diventata. Quando la prospettiva ravvicinata dell’apocalisse nucleare era comunque così immaginificamente astratta da essersi fusa nell’immaginario collettivo americano con la stessa “pop culture” che aveva generato.
26 gennaio 2023 (modifica il 26 gennaio 2023 | 10:59)
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